Calvino fu il primo italiano ad essere chiamato a tenere le Norton Lectures ad Harvard (seguito dopo pochi anni da Eco). Lavorò a questo testo per molto tempo, e morì prima di scrivere l’ultima “proposta”.
Ci troviamo davanti ad un testo di erudizione e leggera autopromozione. Nel proporre 5 temi per le 5 conferenze, Calvino li nomina con la parte per cui pende. La prima è dedicata alla pesantezza del testo, e lui la titola “leggerezza”. Senonchè qui Calvino non è leggere come in molte altre sue opere, per questo si ha l’idea di osservare le impalcature di un lavoro in progress, il substrato su cui si librano i risultati migliori. Il secondo tema è il tempo, e lui lo titola “rapidità”. Poi viene il livello di dettaglio, e Calvino titola “esattezza” (interessante l’osservazione secondo cui Leopardi, che fa della vaghezza il tema della bellezza, in realtà raggiunge lo scopo con annotazioni di grandissima precisione e scrupolosità), poi immaginazione (“visibilità) e infine opere enciclopediche (“molteplicità”).
Calvino passa in rassegna gli estremi di ogni tema proposto e le sue personali fonti di ispirazione (le più frequenti sono Mallarmè, Valery, Borges, Leopardi, Dante, ma non lesina citazioni anche oscure). Si dice sostenitore della concisione, della leggerezza, della visione della letteratura come mezzo unico per raggiungere asintoticamente l’espressione perfetta (iterativa, evolutiva) del pensiero personale. Abbondano riflessioni personali al limite tra filosofia, informazione, critica letteraria, storia, mito. Un testo molto meditato, ricco di spunti interessanti (ma non c’è da aspettarsi interpretazioni rivoluzionarie).
Nel paragone con le lezioni di Eco, Calvino è, come detto, meno leggero, sembra essere più imbarazzato dalla pesantezza e densità di informazione che maneggia, pur rivaleggiando per vastità dei riferimenti e acume di sintesi.
Consigliabile negli archivi di ogni amante della letteratura.