di Massimiliano Bonne
Per l’uomo di scienza è vero solo ciò che è manifesto. «Lo dice la scienza»: questa è una delle ipnosi che maggiormente è entrata nell’uso comune negli ultimi decenni. Da un punto di vista scientifico, non esiste “la scienza”, esistono semmai gli scienziati. I quali, proprio perché adottano un metodo scientifico, sono sempre pronti a mettersi in discussione. Lo scienziato è un ricercatore e quindi è umile di natura, un’affermazione è scientifica solo se un domani può essere dimostrata falsa. Tuttavia, sin dai tempi di Bacone, esiste un’idea di scienza che si sostituisce alla religione, come spiegazione del tutto. Ed è questa visione che prevale, sia tra i comunisti orfani del comunismo, sia tra i cristiani che si sentono «adulti».
«Lo dice la scienza»: questa è una delle frasi che maggiormente è entrata nell’uso comune negli ultimi anni e sempre più in nome della scienza vengono prese decisioni su ogni aspetto della vita sociale come abbiamo assistito in particolare con la crisi sanitaria. Questo rende urgentemente necessario chiarire cosa l’approccio scientifico significhi veramente.
Innanzitutto va detto che non esiste un soggetto denominato “la scienza”, esistono invece persone identificate come “scienziati” che pronunciano delle affermazioni che sono scientifiche proprio in quanto passibili di confutazione. Il filosofo Karl Popper insegnava che un’affermazione non può essere ritenuta scientifica se non fornisce una possibilità di essere dimostrata falsa. Impedire l’espressione di voci critiche, eventualmente con la giustificazione della non adeguatezza dell’interlocutore, è quindi una contraddizione, se ci si vuole muovere nell’ambito del metodo scientifico. Poi finalmente, Thomas Kuhn prima e Paul Feyarebend dopo, refuteranno il modello di falsificabilità di Popper. Il vero scienziato inoltre risponde a tutti, deve potersi spiegare anche con persone non competenti di media cultura, una frase attribuita ad Einstein afferma “Non hai veramente capito qualcosa, se non sai spiegarla a tua nonna”.
Il vero scienziato poi non è mai arrogante, questo contrasta visibilmente con l’atteggiamento spesso irridente di alcuni esponenti della scienza che vengono chiamati a confrontarsi pubblicamente riguardo temi di impatto sociale, il premio Nobel per la fisica Richard Feynman affermava che “Scienza è credere nell’ignoranza degli esperti”.
“Lo dice la scienza” in quanto affermazione dogmatica non solo è per ciò stesso antiscientifica, ma è una frase resa possibile solo da un lento, ma continuo, lavoro di abbassamento del livello scolastico che ha portato a trasmettere nozioni sempre meno comprese, fino a raggiungere un valore dogmatico. Di fatto sono aumentate il numero di informazioni, e sembra difficile tutt’oggi avere una preparazione sufficiente su molti campi d’indagine.
Un fenomeno descritto dallo scrittore Aldous Huxley nel suo Il Mondo Nuovo quando, riguardo all’educazione scientifica impartita, fa dire ad un suo personaggio: “Voi non avete ricevuto una cultura scientifica e di conseguenza non potete giudicare”. La cultura scientifica è una cultura del dubbio ed è l’opposto della fede nella scienza.
La fede nella scienza sperimentale va contro il suo fondatore Galileo Galilei, grazie al quale venne superato il principio di autorità, l’ipse dixit, da quel momento nessuno avrebbe potuto più argomentare con un “è vero perché lo dico io che sono l’autorità”. Ma negli stessi anni la scienza diventava uno strumento di potere nell’opera di Francis Bacon che, nella sua utopia La Nuova Atlantide, indicava gli scienziati come nuovi sacerdoti e guide della società. La scienza, in Bacon, diventa una fede surrogata che può sostituire la politica e l’ideologia.
Questo è avvenuto, ad esempio, con la fine del comunismo quando un sistema mitopoietico scientista ha preso il posto dell’ideologia marxista.
Scienza e Marxismo sempre figlie della visione cristiane ed escatologica del tempo. Il passato è ignoranza, il presente è ricerca, il futuro sarà salvezza e emancipazione dalla superstizione. Sempre domani, sempre che un domani ci sia.
Il carattere, necessariamente in comune, per questa sostituzione è la pretesa di offrire una salvezza: si passa dalla salvezza di classe del comunismo a quella fisica della scienza sperimentale, entrambe unificate nel materialismo. Materialismo figlio del nichilismo.
La realtà è frutto di fenomeni che scaturiscono a “caso” (ammesso che questa espressione possa significare qualcosa da un punto di vista filosofico).
In realtà, gli uomini applicano delle categorie (o riflessi delle idee) e le applicano alla realtà, interpretandola. In altri termini la scienza oggi stabilisce una teoria o una formula e finisce per applicare la teoria alla realtà, ritendendo che la formula stessa sia la realtà.
Allora è evidente che la scienza diventa fede quando pretende, e soprattutto quando le viene riconosciuto, il diritto di diventare spiegazione dell’intero quadro del reale dimenticando che il limite epistemologico della scienza sperimentale è proprio posto nell’impossibilità di fare affermazioni di senso. Accettare una scienza come spiegazione di tutto è compiere una scelta di fondo che nega il senso. Jacques Monod nel suo ‘Il caso e la necessità’ poneva come base della scienza il postulato di oggettività cioè “il rifiuto sistematico a considerare la possibilità di pervenire ad una conoscenza vera mediante qualsiasi interpretazione dei fenomeni in termini di cause finali”, affidarsi alla scienza per spiegare il mondo presuppone quindi come scelta iniziale l’abbandono di una ricerca di senso.
Questo diventa un atto di presunzione. Di fatto, oggi la salvezza se non viene dalla religione, ma oggi viene dalla scienza. Nella visione diatomica della realtà, il fisico David Bohm che ritroviamo in ‘Wholeness and the Implicate Order’ e nei suoi dialoghi con Krishnamurti sul modello olografico, non –locale, sintropico, sostiene che l’universo è ascrivibile in due mondi separati: una realtà reale che vuol dire non modificabile e una realtà virtuale.
Attenzione, la realtà virtuale non vuole dire ‘finta’ ma modificabile. In questo scenario è possibile cambiare i connotati fisici e temporali, è possibile vedere le derivate, e modificare infine lo spazio tempo secondo la prospettiva di osservazione. Percepiamo una virtualità che è sempre in movimento, cioè è sempre diversa dall’istante prima. Dagli atomi alle galassie, tutto è in frenetica vibrazione. Noi vediamo solo la realtà virtuale, illusoria perché modificabile. O meglio, è illusoria l’identificazione che abbiamo con essa. Ma questo è un piano successivo, vedremo perché.
Nella realtà reale quindi non modificabile, lo scenario non è definibile matematicamente. In quello scenario non cambia nulla, non ce una X funzione Y. Questa constante della realtà reale però compare ogni tanto nella virtualità con una sua nascostissima presenza nella fisica. La fisica moderna appioppa a questa costante il nome di ‘parametro nascosto’. Perché un’onda si comporta da particella? Gli scienziati sanno che esiste qualcosa che entra nella realtà virtuale e modifica la virtualità. Ma sappiamo anche che se lo scienziato non misura la realtà si sente rovinato. Si ritiene di poter misurare quel parametro nascosto, ma la scienza sta vendendo la pelle dell’orso prima di averlo acchiappato e quell’orso non lo acchiapperà mai.
In definitiva non è esatto dire che è reale solo ciò che è misurabile, visibile o meglio quello che crediamo sia visibile, perché ricordiamo sempre che il cervello e la mente interpreta. Come sostiene, Umberto Galimberti, nello scenario del sacro che si distingue da quello del visibile e razionale dove sussiste quindi il principio logico di non-contraddizione, si confondono e si contaminano gli estremi. La realtà è descrivibile con fenomeni che in realtà si contraddicono. Le contraddizioni sono infatti ovunque e non sono comprensibili razionalmente ma sono intuibili.
La scienza del resto si serve della matematica che è un linguaggio ma non è una scienza. Quindi come tutti i linguaggi è interpretabile. Oggi, la scienza come strumento unico o sovrano per assumere decisioni sulla vita politica e sociale di una popolazione è dunque in sé la scelta di una mancanza di senso e in definitiva la negazione di una umanità che attribuisce un valore all’etica, al trascendente e a ciò che è propriamente umano, è una delega a costruire una società su principi biofisici. La società scientista come surrogato della religione ha bisogno di proprie tavole della legge da venerare e rispettare, di sacerdoti e santoni con tuniche bianche, di individuare trasgressori ed eretici, di mantenere i rituali propri della società religiosa e sviluppare un linguaggio proprio fatto di termini, simboli, gesti che hanno una valenza di identificazione e riconoscimento.
Lo scientismo ha attratto gli orfani del marxismo e per questo viene fatto proprio anche oggi da chi da quella tradizione proviene. “Vota la scienza” è stato significativamente lo slogan di un partito in una recente campagna elettorale. Il rischio di uno slittamento analogo può nascondersi anche in una visione religiosa che si rivolge troppo al sociale distraendosi dal trascendente, che si fa discorso politico, una religiosità “adulta” che si occupa prevalentemente dei corpi non riconoscendo più i bisogni profondi dello spirito, che guarda al progresso pensando che la tradizione sia qualcosa di un passato da superare e forse da dimenticare.
Dopo che ‘Baffone’ ha lasciato nei pasticci il comunismo la scelta di volgersi verso lo scientismo potrebbe apparire la prospettiva anche di una religiosità delusa e ridotta a dottrina sociale, allora il sentiero percorso dagli orfani del comunismo potrebbe essere condiviso da un cristianesimo stanco, ripiegato sul sociale e troppo fiducioso in una salvezza biologica che proviene dalla scienza.
Ma anche l’ateismo finisce per essere una religione e un atto di fede, che ritiene che il dio “caso” risolva la relazione di causa ed effetto.
Cosa può voler dire vivere di scienza oggi?
La realtà è descrivibile con fenomeni che in realtà si contraddicono tra loro apparentemente. La particella è sia onda che particella contravvenendo al principio di non contraddizione tipico della filosofia occidentale da Platone ad oggi. Di fatto, il materialismo dialettico è una teoria filosofica.
E’ noto che l’informazione quantistica non è clonabile e che ciò che si misura nello spazio-tempo può essere soltanto una piccola parte dello stato quantistico. Inoltre, l’esistenza dell’entanglement quantistico, provata oltre ogni possibile obiezione, contraddice il realismo locale di Einstein. Tutto ciò ci porta anche alla conclusione che il determinismo è un’approssimazione di una realtà in cui il libero arbitrio, la coscienza e la creatività non-algoritmica sono proprietà fondamentali della natura quantistica della realtà, non conseguenze della fisica classica.
L’oggettivismo scientifico implica che la realtà fisica non venga mai incontrata al di fuori delle nostre osservazioni: tutto si manifesta solo attraverso le nostre misurazioni, modelli e manipolazioni. Ciò non significa che la conoscenza scientifica sia arbitraria o una semplice proiezione delle nostre menti: al contrario, alcuni metodi di indagine funzionano molto bene e offrono risultati accettabili
Queste posizioni, che convergono entrambe verso il materialismo scientifico, evidenziano un’interpretazione errata o quantomeno incompleta della realtà poiché non tengono conto di una variabile fondamentale, probabilmente oscurata dal “vicolo cieco” o “punto cieco”, che è la coscienza umana.
Un’interpretazione relativamente nuova nota come Quantum-Bayesianism (QBism) – che combina la teoria dell’informazione quantistica e la teoria della probabilità bayesiana – prende una direzione diversa: interpreta le probabilità irriducibili di uno stato quantistico non come un elemento della realtà, ma come i gradi di convincimento che un operatore ha sul risultato di una misurazione. In altre parole, fare una misura è come fare una scommessa sul comportamento del mondo, e una volta effettuata la misurazione, aggiornare la propria conoscenza. I sostenitori di questa interpretazione a volte lo descrivono come “realismo partecipativo“, perché l’esperienza umana è intessuta nel processo fisico come mezzo per acquisire conoscenza del mondo. Da questo punto di vista, le equazioni della fisica quantistica non si riferiscono solo all’atomo osservato ma anche all’osservatore e all’atomo nel suo complesso, in una sorta di “partecipazione dell’osservatore”. Questo ci riporta al vicolo cieco o zona morta. Quando si osservano gli oggetti della conoscenza scientifica, non si tende a rilevare le esperienze che li realizzano. Non viene evidenziato come la coscienza renda possibile la loro presenza e poiché si perde di vista la necessità dell’esperienza, viene eretto un falso idolo della scienza come qualcosa che conferisca una conoscenza assoluta della realtà, indipendentemente da come si presenti e da come si interagisca con essa.
A differenza del mito, tuttavia, la scienza è costretta dal suo quadro concettuale a camminare lungo una catena causale di eventi. La prima causa è una chiara rottura di tale causalità: come potrebbe esserci una causa che non era di per sé un effetto di qualche altra causa? Anche l’idea di una prima causa, come l’idea di una realtà perfettamente oggettiva, è fondamentalmente religiosa!
La via cieca si evidenzia nel momento in cui si inizia a sostenere che questo metodo garantisce la rivelazione di una realtà incondizionata e oggettiva, mentre invece si tratta solo di modelli idealizzati dalla mente umana. Ma la “realtà” reale è solo l’esperienza soggettiva, non esiste un duplicato oggettivo nella realtà.
Il rischio di non comprendere questo aspetto fondante e non negoziabile è di essere seppelliti dalla mediocrità definitivamente per i secoli a venire.
Di contro, la creatività esiste come processo non algoritmico in cui nuove idee emergono spontaneamente “da dentro” e contengono la motivazione per essere realizzate con un processo di “variazione e selezione” che si basa sulla razionalità e sulla creatività, non sul caso. Il processo creativo o meglio dire emanativo non è platonista. Nel modello che si propone secondo la tradizione, Uno vuole conoscere se stesso. Ciò implica, attenzione, che Uno non è onnisciente. Ogni nuova conoscenza è una nuova creazione o processo emanativo e questo processo va verso l’infinito senza mai raggiungerlo, proprio perché l’infinito è operazionalmente irraggiungibile.
Anche nell’ambito della teoria del multi universo, non si parla di infinito teorico ma invece di una totalità di possibilità di esperienza, un’assoluta libertà nell’esperienza.
Malgrado ciò, l’ultima parola in fisica spetta all’esperimento e non alla matematica che come abbiamo detto sopra è un linguaggio. In altri termini, la matematica ci offre una mappa della realtà, ma la mappa non è il territorio. Qui ci corre in soccorso il primo teorema di incompletezza di Gödel che dice: in ogni teoria matematica T, in grado di rappresentare tutte le funzioni ricorsive primitive, esiste una formula φ, tale che, se T è coerente, allora né φ né la sua negazione ¬φ sono dimostrabili in T. Merito di Gödel è stato dunque l’aver esibito tale proposizione e la vera potenza di tale teorema è che vale “per ogni teoria affine”, cioè per qualsiasi teoria formalizzata, forte quanto l’aritmetica elementare. In particolare Gödel ha dimostrato che l’aritmetica stessa risulta incompleta: vi sono dunque realtà vere ma non dimostrabili.
Da qui, la mappa deve descrivere l’esperienza cosciente del mondo esteriore e interiore che è il territorio. Ma non c’è nessuna mappa che possa rappresentare ciò che ancora non esiste.
La coscienza creativa o emanativa che possiamo anche chiamare “continuum mentale impermanente” porta in esistenza un nuovo territorio che a sua volta può essere descritto da una nuova mappa. Ma il territorio viene prima della mappa.
Il nostro bisogno di controllo ci ha portato a postulare che tutto ciò che esisterà deve essere predicibile da leggi che già esistono. Questo postulato invisibile ci ha portato al materialismo che la fisica quantistica nega nella maniera più assoluta.
La fisica quantistica descrive invece un mondo olistico in cui non ci sono parti separabili: c’è soggettività e c’è oggettività, ma ci sono anche situazioni che sono sia soggettive che oggettive, come il fatto che so di esistere. Non ho bisogno che me lo dica un altro. Il positivismo logico si è rivelato illusorio: la logica da sola non basta. È necessaria ma non è sufficiente.
Quello che correntemente chiamiamo materia sono quindi i simboli condivisibili di un linguaggio cognitivo che tali enti usano per comunicare il significato della loro esperienza, che è privato. Simboli e significato sono quindi correlati, ma il significato è sempre più profondo di quanto lo siano i simboli che lo esprimono.
La realtà simbolica condivisibile coesiste con la realtà semantica privata e questi due aspetti co-evolvono e sono irriducibili. La materia non può esistere senza enti coscienti e gli enti coscienti non possono evolvere senza la materia, cioè senza comunicare simbolicamente tra di loro. Questo postulato non è dimostrabile. Ma potrebbe essere accettato almeno come punto di partenza per una nuova teoria che spiega la realtà come intreccio del mondo fisico esteriore con il mondo interiore dell’esperienza cosciente. Senza avallarlo si potrebbe dire che in termini religiosi, esistono sia il corpo sia l’anima. In termini spirituali aggiungiamo anche lo spirito ai due sopra.
Tutto ciò che è può essere solo nella realtà, cioè fra le cose che possono essere percepite in modo cosciente. Secondo la tradizione, è la coscienza, intesa in senso assoluto, e ciò che origina o emana per dire meglio incessantemente la realtà – cioè un soggetto conoscente e l’oggetto conosciuto – poiché a rigor di logica osservatore e osservato non possono crearsi a vicenda, ma devono sempre fare riferimento a qualcosa di superiore. La mente che osserva e la realtà osservata se non fossero originate dalla stessa fonte metafisica non esisterebbero, perché una dovrebbe sempre presupporre l’altra, all’infinito. Per questo non esiste un doppione oggettivo “al di fuori”!
Secondo l’esatto ordine gerarchico dalla Coscienza procede la coscienza personale e quindi l’immagine sensoriale, che si esperisce come estranea alla coscienza personale.
Quindi l’essere, secondo il livello a cui ci si pone, e logicamente uno, ed e altrettanto logicamente duale (prima contraddizione o antinomia).
La scienza ritiene intanto che ci sia un inizio. Ma non è possibile immaginare un inizio della realtà perché esso presuppone un nulla dal quale la realtà ha preso origine, ma il nulla per definizione non può esistere. II nulla è il non-essere e può essere pensato solo nell’essere come assenza dell’essere. E’ evidentemente assurdo attribuite esistenza al non-essere, il quale può essere concepito solo nella situazione che ne sancisce l’assenza, cioè nell’essere.
Quindi la realtà c’è sempre stata; d’altronde l’essere non può mai non essere per definizione. Per lo stesso motivo la realtà non può avere una fine. Non potendo avere un inizio ed una fine la realtà e eterna, che vuol dire atemporale, istantanea, e non “illimitatamente estesa” secondo il significato che di norma si attribuisce a tale termine.
Si può così affermare che la realtà è solo ciò di cui si e coscienti, ma al contempo e anche eterna. Eterna non significa infinita, ma congelata in un solo istante.
In altri termini potremmo dire che il presente non è T=0 come nella visione classica, ma il presente è l’’uscita’ dal tempo. Come ci ha fatto scorgere Dante, il tempo è una dannazione, è un girone per dannati.
Per cui la vita individuale, pur apparendo come temporale e finita, è, dal punto di vista di un uomo pienamente evoluto, eterna, cioè atemporale. In altre parole la realtà può essere solo eterna e può essere solo temporale, al contempo (seconda antinomia). Essa è finita se percepita su un piano di consapevolezza ordinario. Essa è infinita se percepita su piani molto elevati. I confini spazio-temporali della realtà si estendono con l’estendersi della conoscenza, quindi non esiste un universo oggettivo che progressivamente viene conosciuto, ma l’universo e continuamente creato in base al livello del conoscitore.
La scienza che studia la materia e pretende di poter scoprire le fondamenta della realtà certamente si inganna, poiché essendo la realtà l’unica esistente (ma esiste anche una verità diversa per ogni soggetto cosciente – terza antinomia), non può esistere ‘nulla’ o zero alla base di questa realtà.
Ancora una volta a scapito dell’ipnosi proposta dal paradigma della scienza odierna, possiamo affermare quindi che è palesemente illogico affermare che riducendo in porzioni sempre più microscopiche la realtà materiale si potrà, ad un dato livello di indagine, stabilire e misurare quali “enti minimi” la compongono, poiché ogni ente può essere sempre ridotto a qualcosa di più piccolo.
Un ente (od un evento nel vuoto quantistico) per dirsi tale deve sempre esistere nello spazio-tempo, in quanto deve essere in grado di sostenere una realtà spazio-temporale; ma qualsiasi cosa si estenda nello spazio e perduri nel tempo può essere ulteriormente ridotta, qualora si disponga della tecnologia adatta. Si ricava quindi che niente di percepibile può assurgere al titolo di “ente minimo”, mentre tutto ciò che non e percepibile (secondo qualunque modalità) non è!
In conclusione, credere al dogma scientifico che in natura esista libertà di scelta, cioè che le cose avrebbero potuto anche non verificarsi come si sono in realtà verificate, è una sodomia logica perché rende necessaria la presenza di un ente pensante che compie le scelte al di fuori della natura sia esso il Dio “caso” o l’uomo. Il che implica l’idea di scelta sbagliata se si pensa sia l’uomo a decidere oppure l’evento sfavorevole se si pensa sia il caso a farlo per noi. La negazione dell’assurdo concetto di opzione conduce inevitabilmente alla Natura necessaria in senso classico e quindi Intelligente cioè dotata semplicemente di una sua coerenza organizzativa e sintropica implicita nella sua necessità.
L’esperienza soggettiva del vivere la vita (erlebnis) è vista dalla scienza come elemento disturbante, tuttavia è un filo essenziale, aspetto fondante della nostra umanità e forse ne definisce la natura eccezionale che ne fa un microcosmo nel Macrocosmo.
In una visione duale dell’universo, si può affermare che la salvezza se non viene dalla religione, oggi viene dalla scienza dimenticando che religione e scienza sono figlie della magia o di quello che è stato descritto appena sopra: il territorio del sacro.
Se utilizziamo la metafora dell’albero della vita come esempio, l’albero stesso trae nutrimento e forza dalle risorse del sotto suolo. Da sotto o da un oltre l’apparenza che non è visibile. Quindi perché la sorgente che muove e coordina la vita dovrebbe essere visibile? Del resto che la sorgente sia oltre il visibile cerca di spiegarcelo con molta pazienza la tradizione e la letteratura di tutto il mondo indistintamente e incessantemente da millenni a memoria iniziando dai testi sacri indiani.
A questo punto, è possibile meglio valutare il significato più profondo dei tre enigmi scientifici: la natura della materia, la coscienza e il tempo. Puntano tutti verso un vicolo cieco e la necessità di riformulare il modo in cui si pensa al metodo scientifico. Quando si cerca di comprendere la realtà concentrandosi solo su cose fisiche al di fuori di noi, si perdono di vista le esperienze a cui puntano e le percezioni che ne derivano. Gli enigmi più profondi non possono essere risolti in termini puramente fisici, a causa dell’inevitabile presenza di esperienza umana nell’equazione: non c’è modo di rendere la “realtà” separata dall’esperienza, perché i due sono sempre intrecciati in un entanglement.
Per tentare di uscire e vedere la via cieca è necessario risvegliarsi dal sonno e dall’illusione di una conoscenza assoluta, oltre che abbracciare non una speranza fatua ma il buon proposito di poter creare una nuova cultura scientifica in cui l’uomo vede sé stesso – allo stesso tempo – come un’espressione della natura e come il soggetto di autocomprensione della natura stessa.