Introduzione

La necessià di garantire all’Italia un approviggionamento stabile, considerate le scarse riserve nazionali e la continua crescita della domanda interna di risorse energetiche spinse il presidente dell’ENI Enrico Mattei ad attuare una serie di iniziative in campo internazionale, ponendosi spesso in contrasto con le cosidette “sette sorelle”.

La capacità di Mattei fu quella di cogliere il risentimento dei paesi produttori di greggio e di sfruttare il vento anticolonialista che soffiava nei paesi produttori del Medioriente. Proprio da questa intuizione politica, l’intento del Presidente del’Eni era quello di offrire ai paesi produttori condizioni migliori di quelle delle compagnie americane e britanniche mediante la partecipazione diretta e paritaria allo sfruttamento del petrolio.

Da qui la possibilità di giungere ad una posizione negoziale forte per l’ENI per arrivare ad un accordo con le “sette sorelle” in un rapporto d’inter pares.

L’interrogativo che ci si pone in quest’analisi è se d’avvero i rapporti tra Mattei e le “sette sorelle “ stavano realmente evolvendo positivamente. Leonardo Maugeri ha sostenuto che quando Mattei morì era ormai in atto una sorta di tregua. Dall’analisi dei documenti sovietici qui sviluppata appare che più che una tragua si può al massimo affermare che esistevano i presupposti perchè la si raggiungesse. Infatti, se è pur vero che si era verificata un’attenuazione dei contrasti tra Mattei e le grandi compagnie è pur vero che Mattei non aveva ancora ottenuto i risultati sperati.

 

L’oggetto principale di questo lavoro è costituito dall’analisi e dall’approfondimento di alcuni aspetti della politica estera italiana connessi alle relazioni tra l’industria italiana e l’Unione Sovietica negli anni 1959 e ‘60. Al fine di porre in rilievo le interazioni tra politica estera italiana e sovietica sullo sfondo del complesso e mutevole quadro storico caratterizzato dalla Guerra Fredda, la trattazione cercherà di ricostruire gli interessi e le strategie politiche dei diversi Paesi dando priorità agli aspetti politico-diplomatici delle numerose questioni affrontate.

Uno dei problemi principali è stato distinguere quali fossero i fattori che determinavano di volta in volta l’atteggiamento dell’URSS verso l’Italia nel quadro della Realpoltik. Per analizzare quindi le relazioni tra Italia e Unione Sovietica nel periodo postbellico si ritiene che non occorra tanto soffermarsi sulle apparenti diversità ideologiche dei due Paesi ma capire piuttosto quale fosse l’interesse comune alle rispettive politiche estere e energetiche, il movente ultimo delle scelte politiche che ha prodotto come risultato l’avvicinamento economico e politico italo-sovietico alla fine degli anni ‘50, materializzatosi infine nel trattato sulle forniture di petrolio.

Una delle difficoltà maggiori della ricerca è stata, dunque, nel risalire alle radici reali delle linee di condotta assunte da Mosca nelle questioni politiche internazionali in cui anche l’Italia era

coinvolta. A tal fine, si è ricorso all’esame dei documenti sovietici inediti accedendo al Ministero degli esteri della Federazione Russa MID. Negli ultimi anni, infatti, è stato possibile accedere ad una serie di documenti concernenti i rapporti intercorsi tra i Governi di Roma e di Mosca a partire dagli anni ’50 non pubblicati nei Dokumentij Vnesnei Politiki (DVP).

 

LA FIGURA DI ENRICO MATTEI E IL SUO APPROCCIO ALLA QUESTIONE PETROLIFERA

 

La fase della terza legislatura italiana, ovvero gli anni che vanno dal 1958 al 1963, fu caratterizzata da significativi cambiamenti per l’Italia, sia sul piano della politica interna ma anche e soprattutto su quello della politica internazionale. Nonostante sia difficile tracciare un parallelismo tra mutamenti internazionali e interni, possiamo tuttavia cogliere alcune simmetrie tra i due piani, utili a chiarificare il contesto che stiamo trattando. Nel 1958 la fase del centrismo democristiano sembrava ormai giunta all’epilogo e il panorama politico italiano si preparava ad affrontare un avvicinamento tra la Democrazia cristiana e il Partito socialista, che si concretizzò con l’appoggio esterno del PSI al governo Fanfani nel marzo 1962, ma che divenne compiuto solo dopo le nuove elezioni politiche, nel 1963, con la nascita del primo organico governo di centro-sinistra guidato da Aldo Moro. Sul piano internazionale l’Italia stava vivendo un periodo di particolare vivacità, caratterizzato da una politica estera incarnata della formula del “neo-atlantismo”. La figura di Enrico Mattei si inquadra bene in questo contesto, egli infatti, accanto ad altri personaggi della scena politica italiana del tempo, contribuì al tentativo di ridefinire la posizione e il ruolo dell’Italia in campo internazionale mediante l’adozione di un nuovo approccio ai temi dell’energia, dell’approvvigionamento petrolifero e delle alleanze economiche internazionali. Scrive a tal proposito Bagnato: “La spregiudicatezza e il dinamismo del presidente dell’Ente Nazionale Idrocarburi dal 1953 al 1962, Enrico Mattei, il quale trovava in ambiti squisitamente economici il terreno di dispiegamento privilegiato di un azione se non altro audace, contribuivano ad alimentare le preoccupazioni. Mattei, il quale del resto non faceva mistero dell’alto grado di influenza che riusciva ad esercitare sulla scena politica italiana, era portato, dalla propria carica istituzionale, a compiere scelte che di carattere economico avevano, forse, solo le origini e le cause perché gli effetti erano al contrario di carattere assai più complesso e tali da incidere pesantemente, pur se in modo forse preterintenzionale, sul gioco delle alleanze dell’Italia e, soprattutto, sull’immagine che l’Italia proiettava all’estero”.

 

Ben diversa appariva la situazione storico-politica ed economica dell’Unione Sovietica. Sin dagli inizi degli anni cinquanta, l’URSS aveva iniziato ad aumentare le vendite di petrolio ai paesi occidentali. L’URSS infatti era un paese ricco di idrocarburi e si posizionava al terzo posto come paese produttore nella classifica mondiale. La ricerca e la produzione avevano avuto grande impulso nell’ultimo decennio e ulteriori sviluppi si sarebbero attuati col nuovo piano quindicennale (1958-1972) in corso d’implementazione. Le riserve del Paese ammontavano nel 1958 a 3,9 miliardi di tonnellate. La produzione di greggio, che da circa 30 milioni di t nel 1950 era passata a 113 milioni di t nel 1958, sarebbe presumibilmente aumentata di oltre il 100% raggiungendo 230-

240 milioni di t. Notevoli ampliamenti erano in corso d’opera nelle reti di oleodotti e gasdotti. L’URSS disponeva di una grande offerta di idrocarburi da immettere nel mercato facendo ovviamento un inevitabile abbassamento dei prezzi degli idrocarburi. All’epoca, l’Italia fra i Paesi Occidentali dipendeva dalle importazioni di greggio dall’URSS con la percentuale più rilevante, il 14,8%, e per logica non avrebbe potutto rinunciare all’opportunità di continuare a comprare greggio a prezzi inferiori rispetto ai prezzi allora correnti.

L’attività commerciale sovietica, particolarmente intensa, poteva portare alla creazione di una sorta di dipendenza per i Paesi occidentali, rischiando di inquinare i legami stabiliti dalla NATO e di scardinare i rapporti petroliferi fra Occidente e i Paesi del Medio Oriente, tradizionalmente partenrs tramite le sette compagnie leader. Il senatore americano Keating, individuando in tale politica petrolifera il vero fine dell’URSS, quello cioè di conquistare uno spazio nella competizione mondiale creatasi con la guerra fredda, nella famosa frase coniata da Kruscev – noi vi seppelliremo – comprese che più che seppellire l’Occidente Kruscev mirava ad inondarlo in un mare di petrolio. Dall’analisi dei documenti sovietici che si vedrà più avanti si rileva che l’obbiettivo prioritario di Mosca fosse piuttosto economico che politico infatti all’URSS occorreva moneta per acquistare prodotti industriali e il modo migliore di procedere al fine di ottenere le divise necessarie era proprio quello di vendere il greggio del Mar Nero all’Europa Occidentale ad un prezzo nettamente più competitivo rispetto al petrolio delMedio Oriente. Chi capì perfettamente tutto fu Mattei, il quale si rivolse a Mosca, sempre disponibile, per i motivi sopraccitati, a fare un affare con un paese dell’Europa occidentale. Partendo da queste premesse Mattei arriverà a concludere il famoso accordo commerciale del 1958 con l’URSS per le forniture di petrolio, un accordo che Kossighin, come si vedrà più avanti, definirà “diverso dagli altri che erano stati stipulati” petrolio.

L’accordo, da parte italiana, rispondeva alla necessità di acquistare petrolio a basso prezzo e prevedeva la fornitura di qualche milione di tonnellate di greggio russo in cambio di apparecchiature italiane FINSIDER. In questo modo l’ENI avrebbe ottenuto il petrolio a prezzo inferiore rispetto a quello imposto dalle grandi compagnie, ottenendo una materia prima in cambio di prodotti industriali italiani. Come si vedrà meglio più avanti, qui emergeva ancora una volta la capacità affaristica di Mattei, ma anche il suo acu­me politico.

Mattei aveva proposto al governo austriaco di costruire un oleodotto per portare il greggio in l’Italia (con punto di collegamento con la Svizzera e la Germania). L’oleodotto sarebbe arriva­to a pochi chilometri dall’oleodotto russo: era dunque facile intuire l’intenzione di Mattei di prolungare in seguito la condotta russa sino all’Italia e ad altre regioni europee. Altri paesi europei avevano stipulato trattati con la Russia di forniture di petrolio ma quello con Mattei era innovativo, sia per l’entità degli scambi (nettamente superiore agli altri), sia per la contropartita prevista (fissata mediante contratti di fornitura a lunga scadenza), sia per lo stretto nesso fra l’acquisto di petrolio e la fornitura di merci in pagamento. La strategia di Mattei era il frutto del suo spirito innovativo e di precise scelte commerciali ma era anche una neces­sità dettata dalla sua condizione di “nuovo arrivato”. Il suo fervore imprenditoriale, le sue iniziative “eversive”, il fine ultimo perseguito, quello cioè di costruire una grande impresa pubblica italiana, prefiguravano tuttavia la necessità per Mattei di compiere una scelta finale tra: la fondazione di una grande impresa petrolifera italiana, capace di competere ad armi pari sul mercato mondiale, la quale avrebbe arrecato prestigio al paese consentendo l’affermazione degli interessi italiani all’estero, e la creazione di uno strumento funzionale al mercato interno, capace di promuovere una politica energetica italiana e lo sviluppo economico del paese. Le opzioni non erano necessariamente antitetiche perché in ogni caso occorreva acqui­stare greggio a prezzi vantaggiosi e ricercare fonti di approvvigiona­mento alternative. Il trattato con l’URSS rivestiva inoltre una particolare importanza sotto un altro profilo,

infatti grazie ad esso Mattei aveva trovato uno sbocco per alcuni prodotti che uscivano direttamente dagli impianti dell’ENI (come i fertilizzanti e le gomme sintetiche) ed era riuscito ad includere in esso altre industrie dell’ENI (SNAM e Nuovo Pignone) in veste di fornitori. Come fa notare acutamente Frankel, i negoziati con i russi “seguivano, e anche Mattei ne era partigiano convinto, la linea tradizionale agli italiani, per cui essi tengono a non identificarsi completamente coi loro alleati del giorno e a coltivare in certa misura una propria indipen­denza che nella fattispecie si esprimeva civettando con gli avversari dei propri amici”.

 

PERCEZIONI INTERNAZIONALI SUL DISEGNO DI ENRICO MATTEI

 

L’accordo con l’URSS in piena guerra fredda, mentre all’Italia si rivolgevano accuse di perseguire una politica neutralista o comunque non ortodossa, poiché non in linea con i le­gami associativi dell’Occidente, procurò senza dubbio a Mattei una sorta di soddisfazione. Scrive Yergin: “l’agitazione fra le compagnie occidentali aumentò quando scoprirono che il principale acquirente di greggio russo era niente­meno che la loro pecora nera n.l, Enrico Mattei”. Ora la signora Claire Boothe Luce, ex ambasciatore americano a Roma, che aveva promosso una vera e propria crociata contro Mattei e la sua attività, poteva dire a ragione di aver visto giusto! Sarebbe stata davvero giu­stificata una simile disapprovazione? La verità, come quasi sempre accade, stava nel mezzo.

La relazione tra il governo italiano e l’iniziativa di Mattei è articolata e complessa. A livello governativo, fu lo stesso ambasciatore italiano a Mosca Luca Pietromarchi a cercare di far comprendere a Mattei quali e quanti benefici avrebbe potuto avere un aumento delle esportazioni di rpodotti petroliferi dall’URSS. Dal canto suo, Mattei, come si accennato all’inizio cercava di costruire fondamentalmente una posizione negoziale forte per l’ENI per arrivare ad un accordo con le “sette sorelle”.

Con la sua azione egli si collocò infatti al limite della politica italiana, mai superandolo però. Una sorta di personale brinkmanship del presidente dell’ENI che suscitò perplessità, polemiche, discussio­ni, proteste ufficiali da parte di paesi amici. La sua fu una politica economica che ebbe inevitabili riflessi “devianti” nei confronti delle grandi compagnie petrolifere perché cercò di rimettere in discussione le regole del cartello cioè il controllo della produzione e il prezzo del greggio, ma non fu mai (né poteva esserlo) una politica contraria alla politica ufficiale del suo Paese, che aveva pur sempre come punto di riferimento l’Al­leanza atlantica. Ciononostante, le sue operazioni, per i riflessi internazionali che non potevano non avere, dettero luogo spesso a molti dubbi e perplessità. D’altronde ci si interroga qui su come non avrebbe potuto suscitare critiche l’accordo con l’URSS in piena guerra fredda. Da un certo punto di vista l’accordo in questione, ponendosi sullo stesso piano di molti altri accordi stipulati con i paesi mediorien­tali, potrebbe essere interpretato alla stregua di un guanto di sfida, di una provocazione verso le majors, da sempre sorde di fronte alle richieste di Mattei, una provocazione dalla quale, però, pure l’ENI traeva profitto. Le grandi compagnie, in definitiva, avevano comunque di che temere, infatti la “campagna” di Russia conferiva prestigio e forza a Mattei, dimostrando non solo la sua indomabile volontà di sottrarsi alla servitù petrolifera che il Cartel­lo voleva imporre, ma un modo diretto per sottrarre a loro una quota parte anche del mercato italiano. Era, la sua, una reazione all’esclusione dell’ENI dal tavolo dei giochi decisa dalle grandi compagnie, perché, come scrive Yergin, la contestazione di Mattei al club esclusivo delle grandi compagnie non era dovuta “al fatto che esistesse ma all’esserne stato escluso”.

La “mossa” russa fece comunque perdere la testa ad altri gioca­tori della partita che dettero inizio ad una campagna di accuse: Mattei era un filocomunista perchè tradiva l’Europa e sabotava la politica degli USA. Tutti i nemici di Mattei, anche quelli interni passarono all’attacco, parallelamente il presidente dell’ENI vide aumentare l’in­dice di gradimento da parte dei paesi nei quali egli stava sempre più entrando.

Stranamente nessuno fra quelli che si scagliarono contro il presidente dell’ENI venne sfiorato dal dubbio che la causa delle sui mosse “provocatorie” potesse risiedere nella politica del cartello. Mattei invece andò avanti, approfittando, dal punto di vista commerciale, di quella che fin dal 1955 si era profilata come una svolta nel mer­cato petrolifero. In seguito alla valorizzazione di vasti giacimenti, infatti, l’URSS aveva iniziato ad immettere sul mercato europeo greggio a prezzi inferiori rispetto al greggio mediorientale, accettando in cambio il pagamento in merci. Per gli eventuali acquirenti si trattava di un ottimo affare, il vantaggio era duplice: comperavano petrolio a buon prezzo pagandolo con merci nazionali che per questo trovavano ottimi sboc­chi.

L’URSS si stava proponendo come una temibile concorrente e, dato il clima della guerra fredda, non era azzardato ritenere che, attraverso simile politica, potesse minare la solidità della NATO. L’allarme in questo senso venne da Allen Dulles, direttore della CIA, il quale denunciò il fatto che Mosca stava destabilizzando i mercati. Quando le grandi compagnie sostennero che i sovietici potevano praticare un prezzo più basso perché non avevano da pagare quelle imposte che esse invece dovevano corrispondere ai paesi produttori, la loro affermazione fu contestata subito da Mattei, il quale ribattè invece che i russi non avevano la pretesa di massimizzare i profitti come invece facevano le grandi compagnie. La politica petrolifera dell’URSS costrinse alcune compagnie a rivedere in basso il prezzo ufficiale. Da parte sua Mattei, noncurante delle reprimende provenienti da più parti, dette seguito all’accordo che avrebbe rappresentato il “precedente” di quanto sarebbe poi accaduto nell’ottobre di 1960, ovvero la stipula del vero, importante e complesso accordo firma­to a Mosca col ministro del Commercio Estero sovietico Nikolaj Patolicev.

L’accordo di Mattei con l’URSS del 1958 per acquistare petrolio giunse dopo che i sovietici avevano sondato le disponibilità dell’ENI a fornire i materiali loro necessari per realizzare una rete di oleodot­ti. Secondo tale accordo l’Italia avrebbe im­portato un milione di tonnellate di petrolio russo, fornito dall’ente sovietico per le esportazioni petrolifere in cambio dell’esportazione in Unione Sovietica di gomma sintetica dell’ANIC. Si trattava di un evento politico di notevole rilevanza anche perché l’ENI non era un acquirente qualsiasi ma l’Ente petrolifero italiano di Stato, che aveva dichiarato guerra alla politica delle “sette sorelle”.

Dal punto di vista strettamente commerciale l’accordo del 1958 non rappresentava un passo decisivo verso una politica econimica di avvicinamento all’URSS perché il petrolio sovietico arrivava in Italia già da tempo, così come arrivava in altri paesi come la Francia e la Germania di Bonn, ma dal punto di vista politico aveva grande rilevanza perché il governo italiano vanificava, attraverso l’operazione tessuta da Mattei, la raccomandazione del National Petroleum Council, NPC secondo la quale i governi occidentali dovevano adoperarsi per evitare l’arrivo di petrolio sovietico. Se si considera che l’America stava vivendo in questo periodo della guerra fredda un particolare momento di scontro frontale con l’URSS, per varie questioni che andavano dalla corsa al riarmoalla crisi di Berlino ecc., si possono capire meglio le preoccupazioni del Dipartimento di Stato americano, il quale temeva fortemente che l’industria italiana finisse per dipendere dall’URSS.

 

LA PROPOSTA DI UN ACCORDO CON L’URSS

 

Mattei andò avanti nelle sue conquiste di spazi “petroliferi” con il co­raggio dell’ottimismo, quasi avesse fatto suo il principio di Goethe secondo il quale chi è troppo pessimista è destinato a fare soltanto lo spettatore. Ci voleva infatti molto coraggio e una buona dose di ottimismo per procedere nelle intese con l’Unione Sovie­tica in una fase della lunga storia della guerra fredda particolarmente acuta. Decidendo che l’URSS fosse un paese con il quale concludere proficui accordi economici, Mattei dimostrava ancora una volta il suo eccellente “fiuto” imprenditoriale. I sovietici, da parte loro, stavano dichiaran­do proprio in questo periodo di essere pienamente soddisfatti dello sviluppo degli scambi commerciali fra Italia e URSS, attribuendo in massima parte il merito dell’attività di propulsione iniziale all’ambasciatore Pietromarchi.

Prendendo spunto da una intervista concessa da Kruscev al direttore del giornale argentino “Clarin” sul ruolo del commercio con l’estero nelle relazioni internazionali, la “Pravda” del 5 febbraio dedicava gran parte di un lungo articolo alle relazioni economiche fra Italia e URSS. Gli autori dell’articolo, intitolato: “Il commercio, strada verso l’amicizia”, erano il capo dell’Ufficio Italia del Ministero del Commercio estero, Koshevnikev, e il suo diretto collaboratore Kolosov. In esso, si sottolineava lo sviluppo degli scambi commer­ciali fra Italia e URSS attraverso i dati in possesso del Ministero e si ricordava che il 6 marzo 1959, parlando a Lipsia, Kruscev aveva auspicato un ampliamento della collaborazione con l’Italia. L’articolo prevedeva si sarebbe avuto che un ulteriore sviluppo dell’interscambio commerciale grazie al protocollo sugli scambi per il 1960, firmato a Roma il 22 dicembre del 1959. La citazione del protocollo rappresentava, per così dire, un invito a chi, come Mattei, voleva concludere accordi con Mosca.

L'”apripista” per proseguire nel rapporto ENI-URSS lo aveva fatto nel febbraio 1960 il presidente Gronchi che, con la sua decisione di recarsi a Mosca, dette una svolta fondamentale alle iniziative diplomatiche, una mossa fra le più discusse della poli­tica estera italiana degli anni ’60. Cacace vide nella mossa di Gronchi la presenza di due elemen­ti: la determinazione di caratterizzare la nostra politica estera in maniera più autonoma e il supporto alla politica di penetrazione petrolifera dell’ENI. Nonostante il governo Segni-Pella avesse riba­dito la piena solidarietà atlantica dell’Italia, Gronchi, fautore della politica “neoatlantica”, non aveva rinunciato ai suoi propositi.

E altrettanto vero che la Russia sovietica diventò in quegli anni mèta di importanti personaggi della scena politica italiana, i quali contribuirono a rafforzare e rendere operativo almeno il primo dei due obiettivi di Gronchi, ampiamente condivisi. Di fatto l’Italia non poteva, né sarebbe stata

capace di presentarsi come tratto di unione con l’Africa e il Medio Oriente, ma certamente stava acquistando la natura di “ponte” fra Est e Ovest. Si recarono a Mosca, oltre al pre­sidente Giovanni Gronchi, Amintore Fanfani, presidente del Consiglio, Enrico Mattei, presidente dell’ENI, Ettore Bernabei, direttore della Rai e Giorgio La Pira, sindaco di Firenze e uomo di punta della cultura cattolica, vicinissimo al Papa. Questo attivismo produsse an­che nei sovietici l’impressione che l’Italia si stesse davvero caratteriz­zando per la sua funzione di avvicinamento fra Est e Ovest. Ma tale funzione potenzialmente poteva indebolire il fronte occidentale. Concepire una politica economica nuova, che collegasse in maniera più diretta Roma e Mosca, con il corollario di un possibile ingresso del petrolio sovietico in Europa proprio attra­verso l’Italia, risultava molto appetibile sia per i sovietici sia per gli italiani.

Mattei aveva in mente — e ne parlò esplicitamente ad Andrej Gromiko — il collegamento dell’oleodotto Trieste-Vienna con quello sovietico, come parte di un piano tendente a ridurre il peso «delle grandi compagnie internazionali del mercato petrolifero che fanno parte del Cartello, come: Standard Oil, British Petroleum, Shell; rimpiazzare il petrolio americano del mercato africano e dell’Europa occidentale». Mattei mostrò consapevolezza della estrema difficoltà dell’operazione, ma si mostrò fiducioso, anzi, certo di farcela, forse sottovalutando la portata economica e geostrategica della proposta stessa; o quanto meno non tenendo conto del rifiuto di Usa, Gran Bretagna, Francia, Olanda ad assistere inerti. Nella lotta contro il Cartello, Mattei confidava sull’aiuto da parte dell’Urss: il petrolio russo doveva essere utilizzato nella guerra di concorrenza contro i grandi trusts occidentali. Per questo egli dette ampia risonanza alle re­lazioni tra Eni e Urss, giacché ne usciva rinforzato il suo prestigio tra i grandi monopoli. Le forniture americane sarebbero state sostituite con quelle sovietiche.

Kosygin disse a Mattei che l’Europa poteva fare a meno del pe­trolio del Cartello, che ne ricavava grandi profitti. «Questo è vero in particolare per quanto riguarda le prospettive future e soprattutto per la costruzione dell’oleodotto sovietico fino a Berlino che fornirà fino a 35 milioni di tonnellate di petrolio all’anno».

 

In realtà, l’idea del petrolio russo pur essendo stata caldeggiata sempre da Pietromarchi, era sempre stata presente anche nella strategia di Mattei. Infatti, a parte il primo accordo che aveva stipulato con l’URSS nel 1958 (di cui abbiamo detto), all’inizio del 1959, tornando dalla Cina, Mat­tei si era fermato nella capitale sovietica, il suo intento era quello di reperire petrolio a basso costo: il miglior regalo per il nuovo anno che egli si poteva fare sarebbe stato un accordo fra l’ENI e il Mini­stero del Commercio Estero sovietico per l’acquisto del petrolio.

Secondo lo schema che poi si sarebbe realizzato nel 1960, il secondo accordo avrebbe previsto la fornitura da parte russa di petrolio in cambio di fibre sintetiche prodotte dalle industrie del gruppo ENI. Tuttavia, l’accordo desiderato da Mattei non si realizzò nei termini inizialmente previsti in quanto l’ENI “dipendeva dallo Stato e dal governo”. Scrive infatti Riva che “quando Mattei telefonò da Mosca a Fanfani, ministro degli Esteri, per chiedergli l’approvazio­ne a quel contratto che prevedeva petrolio in cambio di moplen, si sentì rispondere che era meglio aspettare”.

Il viaggio di Gronchi nella capitale sovietica fu preparato dal­l’ambasciatore italiano Luca Pietromarchi, che da tempo si stava prodigando per migliorare i rapporti italo-sovietici. L’iniziativa di Gronchi fu ovviamente sponsorizzata da Mattei, interessato a concludere accor­di con l’URSS. Alla Farnesina non tutti furono d’accordo e anche in Vaticano le perplessità non mancarono. La visita ufficiale si tenne dal 6 all’11 febbraio e non produsse risultati rilevanti ai fini dei rapporti politici fra i due paesi, anche perché, durante il ricevimento dell’8 febbraio, offerto dall’ambasciatore Pietromarchi, Kruscev fu protagonista di un autentico coup d’assommoir, invi­tando Gronchi a diventare comunista.

Dietro però alle provocazioni “ora ironiche, ora goliardiche, ora tracotanti” di Kruscev stava però una realtà ben diversa. Come ha scritto Valerio Riva, il nuovo clima politico italiano suscitava non poche speranze nell’Unione Sovieti­ca, dove veniva percepita l’ascesa in Italia del “nazionalpacifismo”,professato da “una parte cospicua del ceto politico cattolico, unito a una famelica propensione dello stesso ceto, preti e monache in­clusi, per l’affarismo senza scrupoli”. Vari fattori quali: l’appoggio fornito da Gronchi al binomio Mattei-La Pira, il prevalere nella DC di orientamenti sinistreggianti, il ritorno al potere di Fanfani con l’intento di aprire ai socialisti di Nenni, erano tutti elementi per convincere Mosca a stabilire con l’Italia una più stretta rete di relazioni commerciali.

Se sul piano politico interno la visita di Gronchi ebbe ripercussioni negative, Malagodi ad esempio ritirò l’appoggio al governo e attaccò Gronchi per le sue iniziative in politica estera, sul piano internazionale, la scelta di Gronchi non pareva del tutto isolata, infatti, anche altri paesi del vecchio continente stavano ammorbidendo l’atteg­giamento rigido verso l’URSS che avevano seguito in passato. Se MacMillan, che aveva sostituito Eden in Inghilterra dopo la sua fallimentare operazione a Suez, stava seguendo una linea politica più possibilista, anche De Gaulle appariva incline al dialogo con Mosca, cosi come lo stesso cancelliere Adenauer.

Sul piano economico infine le conseguenze erano positive perché Mattei avrebbe gettato le basi

di importanti accordi con l’URSS, proprio grazie al fatto che Gronchi, nei suoi incontri con i vertici sovietici, aveva “formalizzato la strada per l’acquisto della risorsa il cui ingresso in Europa più spaventava gli Stati Uniti, il petrolio”.

 

LA RISPOSTA SOVIETICA

 

Come si è visto, l’ENI era sollecitato dall’ambasciata d’Italia a Mosca la quale agiva con l’autorizzazione della Farnesina a incrementare il volume delle sue importazioni dall’Unione Sovietica in rapporto agli accordi già conclusi nel 1958 e nel 1959, accordi che avevano gi reso l’URSS in termini percentuali, progressivamente sempre più importante come fornitrice di prodotti petroliferi nel mercato italiano. C’erano quindi solide basi di politica economica per stingere un accordo tra l’ENI e l’URSS.

Le premesse per l’accordo dell’ottobre del 1960 furono poste in via definitiva nel corso della visita lampo di Kossighin in Italia alla fine di maggio.

Il 31 maggio il primo ministro sovietico Aleksej Kossighin, dal 4 maggio 1960 primo vicepresidente del Consiglio dei ministri sovietico, di passaggio a Roma, proveniente da Buenos Aires (dove aveva rappresentato l’URSS alle cerimonie del 150° anniversario dell’indipendenza dell’Argentina), fu ricevuto da Gronchi e dall’allora ministro degli Esteri Antonio Segni. L’ambasciatore Kozyrev accompagnò Kossighin nella visita non ufficiale a Segni, durante la quale il primo ministro sovietico informò il nostro ministro degli Esteri del desiderio già espresso agli opera­tori commerciali italiani “di firmare un nuovo accordo commerciale fra l’Italia e l’URSS”, un accordo che avrebbe dovuto essere più ampio e a lungo termine dei precedenti. Kossighin ribadì che il suo governo era favorevole “a un tale accordo di reciproco profitto” e Segni rispose che era a conoscenza del fatto che la parte sovietica chiedeva crediti di lunga durata, per questo motivo sarebbe stato interessato a conoscere meglio quale fosse la durata dei crediti che l’URSS desiderava ottenere.

L’in­contro più importante fu quello di Kossighin con Mattei, durante il quale fu fatto esplicito riferimento alla gomma prodotta dall’ANIC e ai tubi di grande portata per la costruzione di oleodotti. Tale incontro avvenne in occasione del pranzo organizzato dall’ambasciatore Kozyrev, al quale fu presente anche il rappresentante commerciale dell’URSS in Italia, Salimovski. Ovviamente a Kossighin era nota l’attività dell’ENI e Mattei non perse occasione per ribadire le sue intenzioni di indebolire il cartello internazionale del petrolio e spingere fuori gli interessi americani dall’Africa e l’est Europa. L’ENI era già attivamente impegnata nella costruzione di oleodotti in Africa, in particolare in Egitto, Sudan, Marocco e Ghana, la compagnia italiana perseguiva infatti lo scopo di usufruire dell’aiuto sovietico per poter costruire in Africa e in Europa dell’est dei nuovi oleodotti. L’oleodotto già in funzione che collegava Vienna a Trieste, secondo un possibile scenario, sarebbe stato collegato all’oleodotto sovietico per la diretta ricezione del petrolio sulla costa adriatica.

Mattei si rendeva conto che la lotta al cartello sarebbe stata lunga e difficile, infatti esso contava nella sua struttura numerose persone potenti in vari paesi . Tuttavia, a suo avviso, esistevano le effettive condizioni economiche per un accordo con l’URSS e per cambiare i prezzi dei prodotti petroliferi praticati dal Cartello. Grazie al contributo sovietico e al conseguente aumento nella produzione petrolifera il prezzo della benzina sarebbe diminuito. Inoltre, a seguito della costruzione

di nuovi oleodotti si sarebbe potuto ovviare agli sprechi e intermediazioni che erano all’origine delle forti spese di trasporto.

Durante il colloquio con Kossighin Mattei aveva sottolineato che, da un punto di vista politico, il cartello del petrolio assorbiva il denaro europeo. Indebolire il cartello in Europa occidentale e in Africa avrebbe significherebbe dare un colpo diretto agli interessi politici ed economici americani.

Mattei sosteneva che l’URSS avrebbe dato un supporto sicuro nella battaglia contro i Cartelli. Kossighin, dal canto suo, era certo che l’Europa potesse certamente fare a meno del petrolio americano, evitando che i cartelli internazionali ne prosciugassero i fondi, ed era altrettanto intenzionato a migliorare seriamente i rapporti con l’Italia, attraverso una lunga collaborazione con l’ENI che contribuisse a scardinare l’ordine dei cartelli.

Al fine di “indebolire” le posizioni delle grandi compagnie petrolifere, in quanto, come disse Mattei a Kossighin, vi erano “oggettive ragioni economiche per far saltare i prezzi dei prodotti petroliferi dettati dal Cartello”, il presidente dell’ENI fece sapere chiaramente al primo ministro sovietico che “contava sull’aiuto e appoggio dell’URSS” e che il petrolio che l’ENI avrebbe ottenuto dall’URSS sarebbe stato “utilizzato nel­la lotta contro il Cartello”. Le affermazioni di Mattei furono inter­pretate dai sovietici come la prova che lo scopo del presidente dell’ENI fosse “quello di sostituire in futuro il petrolio americano con il petrolio sovietico”. Kossighin incoraggiò Mattei nella sua azione affermando che “l’Europa [poteva] benissimo farcela usufruendo delle proprie risorse petrolifere senza petrolio americano e soprat­tutto senza il Cartello internazionale, il quale ricava[va] enormi profitti dall’Europa occidentale”. La considerazione di Kossighin diventava “ancor più valida se si considerava la prospettiva della futura costruzione dell’oleodotto sovietico che [sarebbe] arrivato fino a Berlino”, il quale avrebbe “pompato fino a 35 milio­ni di tonnellate di petrolio l’anno”. Kossighin assicurò Mattei che l’URSS era determinata a migliorare i suoi rapporti con l’Italia e con l’ENI “nello spirito di collaborazione economica e sulla base del reciproco profitto”, per questo riteneva importante concludere con Roma un accordo “a lungo termine, di almeno 5 anni”. Il primo ministro sovietico disse a Mattei che aveva parlato con il presidente Gronchi, il quale “ritene[va] opportuno un simile accordo”. Mattei avrebbe dovuto appoggiare la realizzazione dell’intesa proponendo di con­cludere le trattative su: oleodotto, caucciù sintetico e petrolio. Du­rante il colloquio Mattei-Kossighin furono gettate le basi dell’accordo: in pagamento del petrolio ottenuto, l’ENI avrebbe consegnato all’URSS un alto quantitativo di tubi a largo diametro per la costruzione di oleodotti, mezzi di trasporto petrolifero e 55 mila tonnellate di caucciù sintetico. Mattei promise poi a Kossighin che si sarebbe recato a Mosca per la firma del contratto e al termine del colloquio, quasi a suggello del cordiale clima che si era instaurato, Kossighin pregò Mattei di “scrivere, insieme al signor Salimovski, rappresentante del­la sezione commerciale dell’URSS, un piano per il presente accor­do e per l’eventuale futura collaborazione con l’ENI”, che sarebbe passata dalla “possibile consegna da parte di quest’ultima di una raffineria di petrolio della potenza dai 6 ai 9 milioni di tonnellate”. Alla fine della conversazione Kossighin raccontò a Mattei le vicende dell’esplorazione ed estrazione del petrolio e del gas nell’Unione Sovietica.

Il colloquio costituì il preliminare dell’accordo storico dell’ot­tobre 1960, firmato a Mosca da Mattei e dal ministro sovietico del Commercio estero Nikolaj Patolicev. La personalità di Mattei e la sua carica di simpatia e di semplicità piacquero molto a Kossighin e questo particolare fu messo a frutto da Mattei. Per il rapporto positivo con l’URSS giovò sicuramente a Mattei anche la stima

che egli aveva saputo conquistarsi da parte di Anatolij Adamishin e dello stesso Kozyrev. Adamishin, giunto a Roma nel gennaio 1959, ben presto era diventato l’assistente particolare dell’amba­sciatore Kozyrev e in questa veste aveva assistito a molti incontri dell’ambasciatore con personaggi di spicco della politica italiana quali Gronchi, Segni, Fanfani, Moro, Andreotti ecc.. Nella mente di Adamishin erano rimasti impressi anche i colloqui con i grandi industriali come Mattei, Pirelli, Valletta ed altri. Anche La Pira aveva riscosso la stima di Adamishin perché il professore fiorentino gli era apparso uno “di quei politici che anticipano i tempi… un instancabile combattente e sostenitore della distensione…”. Ada­mishin era rimasto però particolarmente affascinato dalla personalità e dall’intelli­genza di Enrico Mattei, “personaggio davvero leggendario” che “si preoccupava, naturalmente, di tutelare gli interessi dell’Italia, la cui economia in piena evoluzione aveva bisogno di fonti diversificate di energia”. Non meno estimatore di Mattei era l’ambasciatore Kozyrev “legato a Mattei da un vero rapporto di amicizia”.

Poco meno di un mese dopo i colloqui romani di Kossighin, il nostro ambasciatore a Mosca, Pietromarchi, fece visita a Breznev. Doveva trattarsi di una semplice visita di cortesia, ma Breznev en­trò nel vivo dei rapporti italo-sovietici sia economici che politici. A proposito dei primi, anche Breznev era d’accordo sul fatto che potessero essere sviluppati maggiormente e Pietromarchi ricordò al presidente del Presidium del Soviet Supremo che “erano in corso trattative di notevole importanza con operatori italiani e specialmente con l’Elei per cifre di particolare entità”, puntualizzando che il governo italiano aveva invitato in Italia Patolicev proprio al fine di verificare le possibilità di sviluppo dei rapporti economici. Pietromarchi notò che l’URSS teneva molto a che l’accordo con l’ENI venisse concluso, infatti la trattativa stava procedendo speditamente soprattutto per la volontà dei sovietici di “addivenire alla rapida conclusione del contratto”, una volontà appena temperata da qualche giustificata cautela italia­na.

La necessità di una rapida conclusione del contratto, se lo era sentito ripetere il dottor Ratti dal

direttore delle im­portazioni sovietiche Migunov al momento di presentagli le ultime proposte in merito al contratto. Migunov aveva anche aggiunto che per la firma del contratto le autorità sovietiche avrebbero atteso a Mosca il presidente Mattei. Pochi giorni dopo, Mosca decideva di “rimuovere” anche l’”incaglio” della visita in Italia di Patolicev (non avvenuta a suo tempo perché i sovietici erano rimasti offesi per la disdetta visita a Mosca di una delegazione parla­mentare italiana). Pietromarchi era stato infatti convocato dal ministro del Commercio Estero sovietico il quale gli aveva comunicato che Nikolaj Patolicev sarebbe giunto a Roma l’11 luglio accompagnato dal direttore generale del Ministero, Vinograd, dal capo della Segreteria, Savinov, e da un funzionario del Ministero, Kolozov. Dopo alcune visite protocollari nella capitale italiana, Patolicev sì sarebbe recato a Milano per visi­tare la Pirelli, la Montecatini, la SNIA Viscosa ed altri complessi ed avrebbe incontrato il 17 luglio Enrico Mattei.

 

UN COLPO ALLA POLITICA DI CARTELLO DELLE SETTE SORELLE

 

Frattanto gli attacchi di Mattei alle “sette sorelle” cominciarono a produrre qualche effetto negativo su di loro. Nel luglio del 1960 il Cartello si trovò di fronte ad un ostacolo: il prezzo del petrolio. Era successo che la quantità di greggio immesso sul mercato a prezzi più bassi di quelli del Cartello era aumentata principalmente a causa dell’azione di disturbo dell’URSS (greggio degli Urali), alla quale proprio Mattei aveva contribuito in una qualche misura. Nel luglio del 1960 infatti il prezzo del greggio imposto dalle grandi compagnie non reggeva più la concorrenza praticata da altri venditori. L’accordo di massima fra Mattei e l’URSS, che si sarebbe di lì a poco concretizzato in modo più dettagliato, era stato forse la classica goccia che aveva fatto tra­boccare il vaso. La Standard Oil of New Jersey (Esso), “la grande e orgogliosa Standard Oil”, temendo di perdere consistenti quote di mercato, ritoccò il prezzo con decisione unilaterale, incrinando il patto che legava da anni le “sette sorelle”. La decisione fu sofferta e la riunione del consiglio di amministrazione drammatica. Il presi­dente in carica era Monroe (Jack) Rathbone, il quale era arrivato al verti­ce della compagnia dopo aver lavorato in una grande raffineria della società (Baton — Rouge). Rathbone non ritenne opportuno consultar­si con i produttori prima di assumere decisioni sui prezzi.

Nel consiglio non tutti concordavano con il presidente Rathbone, nem­meno Howard Page, negoziatore della grande compagnia in Medio Oriente, perché sapeva bene qual’era la carica esplosiva del nazionalismo dei paesi mediorienta­li. Il colpo fu duro, non tanto per i pochi cents di

ribasso, quanto per le ripercussioni che ebbe sui paesi produttori che avrebbero perduto milioni di dollari e che decisero di stringersi in una al­leanza anticartello. Nella riunione dei paesi produttori del 14 settembre 1960 nacque, nella capitale irakena, la Organization of the Petroleum Exporting Countries (OPEC), nonostante che pochi giorni prima, l’8 settembre, la Shell fosse corsa ai ripari aumentan­do il prezzo ufficiale di pochi cents.

Trionfalmente alcuni paesi produttori videro in quel 14 settem­bre 1960 la data della dichiarazione di guerra alle “sette sorelle”. I rappresentanti dei principali paesi esportatori che aderirono furono inizialmente cinque (Iran, Irak, Kuwait, Arabia Saudita, Venezuela); successivamente se ne aggiunsero altri otto (Quatar, Indonesia, Libia, Emirati Arabi, Algeria, Nigeria, Ecuador, Ga­bon). Obiettivo dell’OPEC sarebbe stato quello di coordinare le politiche petrolifere degli aderenti al fine di assicurare prezzi stabili per i produttori. L’OPEC avrebbe dovuto in altre parole difendere il prezzo del petrolio e le compagnie avrebbero dovute consultare l’OPEC in materia di prezzi. I costituenti previdero un sistema di regolamentazione della produzione che garantisse adeguati quantitativi ai consumatori e una altrettanto adeguata redditività a chi investiva capitali nell’industria petrolifera. Le compagnie furono “toccate” dall’affondo dei paesi produttori e arrivarono perfino a chiedere poco dignitosamente scusa. Al di là degli aspetti formali, restava il fatto che gli iniziali fondatori dell’OPEC coprivano da soli l’80% della esportazione di greggio e, come sostenne un autorevole esponente di un paese arabo, la costituzione dell’OPEC era la prima affermazione di “sovranità’ da parte dei paesi esportatori dì petrolio. Restava poi il fatto che, indirettamente almeno, la nascita dell’OPEC costituiva un successo della politica di Enrico Mattei.

Ci si interroga se fosse stato veramente Mattei a suscitare il cataclisma sullo scenario petrolifero mondiale, e se fosse stato lui a provocare la decisione delle seven sisters di ridurre il prezzo e se di conseguenza fosse stato lui a indurre i produttori ad unirsi. Le risposte a tali domande sarebbero molteplici e tutte in parte vere e in parte false. Non era stato certo Mattei l’artefice delle decisioni, ma egli aveva visto per tempo, con finissimo intuito, cosa sarebbe successo. In altre parole, Mattei, adottò semplicemente delle scelte di opportunità sulla base delle regole economiche acquistando i prodotti dove c’era maggiore convenienza.

La costruzione da lui perseguita di nuovi rapporti aveva antici­pato le vicende. Non c’erano dubbi sul fatto che lui avesse precorso i tempi, che avesse avvertito il nuovo vento della storia, che fosse nel giusto quando aveva sostenuto che la perdita delle colonie era stata per l’Italia un vantaggio e che lui non faceva guerra alle “sette sorelle”.

 

LA CONCLUSIONE DELL’ACCORDO E I SUOI LIMITI

 

Quanto Romano nota acu­tamente che la diplomazia italiana e quella del Presidente Segni si scon­trarono con la scarsa considerazione che i sovietici avevano per il peso internazionale dei loro interlocutori”, non valeva per Enrico Mattei che aveva riscosso stima e apprezza­mento dei sovietici. La sua credibilità e l’indiscutibile senso degli affari furono sufficienti furono sufficienti a convincere i sovietici circa l’opportunità di concludere affari con lui nel quadro di un clima di

cordialità, cui dianzi accennavamo. In questo clima di cordialità, dunque, durante tutta l’estate continuarono i pourparlers con l’URSS per definire i punti dell’accordo che Mattei firmò l’11 otto­bre a Mosca con il ministro sovietico del Commercio estero, Nikolaj Patolicev. Alla realizzazione dell’accordo i russi non avevano mai nascosto di tenere molto. In occasione della presentazione del nuovo rappresentante commerciale sovietico a Roma, Kuznezov (che an­dava a sostituire Vladimir Salimovski), il direttore degli Accordi Commerciali Vinogradov raccomandò al nuovo designato di “mantenersi sempre a stretto contatto con il consigliere commerciale dell’Ambasciata d’Italia a Mosca Spinelli al fine di poter dirimere, in uno spirito di reciproca comprensione, ogni eventuale difficoltà”. Anche la mossa di nominare Kuznezov a Roma dimostrava quanto i russi tenessero all’accordo con Mattei, infatti Kuznezov aveva preso parte “alle trattative con l’ENI” svol­gendo una preziosa “azione di conciliazione nel superamento degli inevitabili contrasti specie nei prezzi”. L’intesa raggiunta fu di enorme importanza, l’accordo un vero e proprio trattato di alleanza fra l’ENI e l’Ente sovietico per l’esportazione del petrolio (Soyuz-nefteexport). In base ad esso l’Italia si garantiva 12 milioni di ton­nellate di petrolio (3 milioni annui per il quadriennio 1961-1965) e copiose forniture di gas in cambio di gomma sintetica prodotta dall’ANIC, macchinari e attrezzature petrolifere costruiti dal Nuo­vo Pignone, tubi prodotti dalla FINSIDER, che era di proprietà dell’IRI. L’ENI traeva un doppio vantaggio dall’accordo: otteneva petrolio russo e smerciava in pagamento prodotti italiani, che sarebbero servi­ti (come nel caso delle attrezzature petrolifere e dei tubi di am­pio diametro) ai sovietici per estrarre e trasportare il greggio dei giacimenti del Volga, c’era poi un terzo indiretto vantaggio proveniente dal rafforzamento dei rapporti commerciali con l’Est. Anche in quest’ultimo caso, l’ENI traeva vantaggio dal fatto che aveva convevnienza a esportare materiale lavorato nei paesi dell’Est europeo.

Per Mattei si trattava di proseguire su una via già imboccata, dal mo­mento che era stato proprio lui a discutere alla fine del 1959 un accordo fra ENI e la Techmasimport, che era formalmente un ente di Stato sovietico con il preciso compito di occuparsi di impianti industriali e di fatto una società di intermediazione. In virtù di quanto stabilito da un articolo segreto dell’accordo, la Techmasimport doveva se­gnalare all’ENI i prodotti del gruppo italiano che interessavano al­l’URSS. Come compenso per tale informazione l’ENI avrebbe pagato il 6% dell’importo dei contratti

conclusi, ove questi non si fossero realizzati l’ENI avrebbe ugual­mente corrisposto la percentuale suddetta sull’acquisto di petrolio russo tramite il Ministero del Commercio Estero sovietico” e speci­ficatamente tramite la competente divisione, la Soyuznefteexport.

Poche ore dopo la firma dell’accordo, Kossighin ricevette a Mosca un gruppo di uomini di affari italiani, quasi a voler suggellare il cli­ma di intesa e la volontà di sviluppare i rapporti commerciali. L’impulso dato da Mattei allo sviluppo dei rapporti con l’URSS era stato indubbiamente vigoroso, per il governo italiano ora più che mai però la situazione diventava delicata. C’era effettivamente il rischio che lo sviluppo dell’interscambio commerciale (che era faci-le prevedere avrebbe fatto seguito all’accordo del TENI) potesse provocare un pericoloso cortocircuito con la linea di politica estera del nostro Paese, saldamente ancorata alle esigenze strategiche degli alleati occidentali. Come il nostro Ministero degli Esteri aveva se­gnalato nel luglio, l’aumento dell’interscambio poteva rafforzare la posizione sovietica nei confronti del mondo occidentale. L’Italia non poteva certo favorire una tale politica, ma non poteva nemmeno rinunciare a trarre profitto dalla volontà sovietica di sviluppare i rapporti commerciali bilaterali.

Alla fine del 1960 il nodo al pettine fu costituito da una fornitura italiana di petroliere all’URSS. I cantieri italiani attraver­savano un periodo di crisi, la commessa russa di fornire petroliere anche già pronte, delle quali l’URSS aveva bisogno, era sicuramente un’autentica manna. Washington però aveva espresso riserve sulla fornitura e il governo italiano aveva tenuta “sospesa la perfezione dei contratti fra la Fincantieri e l’URSS” ponendo peraltro la con­dizione che tutti gli alleati e il Giappone “adottassero lo stesso atteg­giamento per quanto riguardava analoghe forniture”. Il governo americano aveva fatto le stesse richieste agli altri paesi non ottenendo “risultati incoraggianti” al punto che il Dipartimento di Stato, in omaggio ad un evidente criterio di equità, fu costretto a ritirare le riserve for­mulate nei confronti dei contratti italiani. L’Italia aveva precisato che era senza dubbio condivisibile l’sigenza di ridurre la “poten­zialità strategica del blocco sovietico”, confermando che se il Comitato Atlantico avesse deciso di porre l’embargo sulle petroliere da fornire all’URSS per motivi strategici il governo italiano avrebbe aderito a tale deci­sione. Riguardo ai contratti di fornitura che erano stati sospesi, il governo italiano decise di fornire per il momento una sola petroliera mentre per le altre avrebbe mantenuto la sospensiva solo se l’Olanda, il Giappone e altri avessero tenuto la stessa linea. A questo proposito il nostro ministero chiariva che l’Ambasciata italiana in Olanda aveva fatto sapere che i cantieri olandesi avevano un contratto con un gruppo di armatori greco-panamensi per fornire cinque petroliere, delle quali una era già stata ceduta all’URSS e che l’Ambasciata italiana a Tokyo aveva informato che i cantieri giapponesi stavano consegnando petroliere all’URSS poiché il Giappone non era di­sposto a rinunciare alla fornitura.

La questione della fornitura delle petroliere si allargava in seno alla NATO dove veniva discusso an­che il tema dell’acquisto del petrolio russo. Il rappresentante ita­liano presso il Consiglio Atlantico aveva ribadito la linea italiana di considerare la questione petroliere in un quadro globale. Il rappre­sentante

britannico aveva notato che il problema non era tecnico ma politico, mentre quello norvegese aveva considerato poco rile­vante la questione delle petroliere bensì quella dell’acquisto del pe­trolio russo da parte dei paesi NATO. Lo sviluppo dei rapporti commerciali con l’URSS non pre­giudicava gli impegni italiani coi paesi alleati.

 

 

LA REAZIONE DELLE SETTE SORELLE E LA POSIZIONE DEL GOVERNO AMERICANO

 

Intanto la costituzione del Cartello anticartello cominciava a dare i suoi frutti. Nonostante le compagnie avessero preso a snobbare l’OPEC dopo lo shock del primo momento, il 19 ottobre la Standard Oil of New Jersey, compagnia che aveva scatenato “l’affaire” dei prezzi, illustrava il proprio punto di vista sulla situazione petrolifera al Dipartimento di Stato americano.

Era stata la stessa compagnia a solle­citare l’incontro, incontro nel quale Leo Welch, presidente del consiglio di amministra­zione, esponeva al Dipartimento di Stato il timore che le compagnie si sareb­bero presto trovate “between producer country controls and the demands of consumIng countries”, aggiungendo che le compagnie stesse non avrebbero più potuto gestire i loro affari “in a normal way since the governments would take over the determination of oil prices, the amounts of oil to be produced, and the destination of oil shipments”. La discussione scivolava poi su argomenti di natura tecnica e il delegato della Standard Oil manifestava la speranza che l’OPEC non avrebbe avuto vita facile. Welch richiamava anche il pericolo rappresentato dal petrolio sovietico: “Jersey- diceva – thinks the Soviets cannot be trusted to cooperate on oil although they are cooperating on tin and diamonds”. Nella esposizione di Welch trovava spazio anche Mattei, il quale “is currently buying oil from the Soviets at 90 cents per barrel below posted price and Soviet price cutting would continue”.

Welch concludeva sperando che “the U.S. Government would use its influence in urging the OPEC countries to go slowly in com­pletine theOPEC organization and implementing its program”.

L’autorevole esponente della Standard non si nascondeva che il governo americano non potesse opporsi all’OPEC ma chiedeva che venisse almeno espressa la speranza che i paesi facenti parte dell’OPEC considerassero compiutamente “the economic factors involved in their program and would not reach hasty decisions”.

L’incontro al Dipartimento di Stato rivelava la forte preoccupazio­ne della Standard e delle grandi compagnie per quanto era avve­nuto. D’altronde anche l’urgenza con la quale la Standard aveva sollecitato l’incontro dimostrava quale e quanta fosse l’apprensione suscitata nel Cartello dalle ultime vicende. L’immissione nei mercati del petrolio russo era stata come una scintilla che aveva provocato un’esplosione. Mattei, messo sotto accusa da Welch (anche se in maniera non plateale) durante la riu­nione, era stato uno dei protagonisti delle trattative e poi dell’accor­do petrolifero stipulato a Mosca. Ormai il presidente dell’ENI era diventato un competitore per le “sette sorelle”.

La discussione aveva altresì chiarito in modo inequivoco che le grandi compagnie, nonostante

inizialmente avessero snobbato la nascita dell’OPEC, temevano fortemente l’organizzazione, al punto che Welch rivelò che Rathbone si era proprio in quel momento recato in Libia per convincere “Libyan officials that they would have much to lose by joining OPEC”.

La riunione al Dipartimento di Stato era avvenuta alla presenza del sottosegretario agli Affari Economici Douglas Dillon, il quale si era limitato a prendere atto del punto di vista della compagnia sull’OPEC, in realtà il peso che Mattei ricopriva per la politica americana era molto più considerevole di quanto veniva fatto trasparire in superficie e questo fu chiaro già a partire dal 1958, da quando cioè Mattei iniziò a realizzare le prime intese economiche con l’URSS .

Da un’attenta analisi dello scambio di telegrammi tra il Dipartimento di Stato americano e l’ambasciata statunitense in Italia si evince chiaramente che l’attività di Mattei e il supporto che egli riscuoteva in certi ambienti politici italiani, si pensi ad esempio al sostegno dato a Mattei da Gronchi, costituivano un elemento di forte disturbo per il governo statunitense e per la sua politca in Italia. Infatti, nonostante la diplomazia americana non perdesse occasione per ribadire l’assenza di qualsiasi legame tra il governo e le compagnie petrolifere, puntualizzando l’illegittimità di qualsiasi intervento governativo negli affari o a difesa degli interessi privati delle compagnie perché contrario alla legislazione americana anti-trust, sembrano emergere da alcuni documenti diplomatici delle vere e proprie minacce nei confronti di Mattei.

Si legge ad esempio in uno dei telegrammi provenienti dall’ambasciata Americana e diretti al Dipartimento di Stato nel 1958: “It should be noted in this connection Embassy received reports from several independent sources to effect Gronchi support of Mattei has been weakening lately, although it clear to us that no action to curb Mattei can be expected prior elections”. Tra le cause degli scarsi progressi realizzati dal Governo americano nel “raggiungimento dei suoi obiettivi” in Italia l’Operations Coordinating Board riporta “the activities inside and outsideItaly of Enrico Mattei (…) and the continuino interferences of President Gronchi in government business and policy”, mentre “The competition between the U.S: oil companies and the Italian petroleum agency ENI” era vista come “an important and irritating problem between our two countries”. Gli Stati Uniti riconoscevano chiaramente che “Mattei has achieved a position of strong political influence in Italy from his control of a number of deputies, influence on the press, access to governmement founds through ENI, a close personal relationship with President Gronchi and considerable public support…” e ancora che “the “friction” with U.S. companies has been a result of Mattei’s political power in Italy. His political influence led to the exclusion of U.S. and other foreign companies from the participation in oil exploration and development on the Italian mainland. Similarly his government supported foreign operations have threatened long-standing relationships between certain governments and foreign companies. Should relationships between U.S. companies and foreign governments deteriorates a result of these operations, it would be virtually impossible to avoid the involvement of the U.S. Government in consequent disputes”.

Le stesse visite di Mattei in Russia e Cina vennero considerate dagli USA un elemento di disturbo nelle relazioni con l’Italia perché non era solo l’ENI ad essere coinvolta in questa attività ma era Mattei stesso, un uomo di considerevole prestigio, ad utilizzare questa attività come mezzo

di propaganda e pubblicità a sostegno della sua strategia sovversiva. Proprio per questo “the forst step in a solution to the problem of Soviet oil would be to find some method of controlling of Mr. Mattei…” il governo americano in definitiva era chiaramente “turbed over the Soviet oil drive and we would need the benefit of the experience and ideas of our International oil compagnie in deciding what actions we, as government, might properly take”.

Sulla base di queste premesse possiamo dedurre che, dopo il terremoto dei prezzi, il timore (termine espressamente usato nella riunione) aveva preso piede non solo tra le compagnie tra le compagnie, le quali avvertivano ormai che il gioco era cambiato, ma anche all’interno degli ambienti governativi americani. Esse non avrebbero più po­tuto stabilire a piacere i prezzi e il livello di produzione dell’oro nero.

Mattei si trovava così, volontariamente o involontariamente, al centro delle vicende, dopo aver scosso i paesi produttori con le sue percentuali e fatto accordi con essi in modo generoso, era passato a stringere rappor­ti commerciali con l’URSS riuscendo a procurarsi il petrolio a prezzo vantaggioso.

L’acquisto del greggio russo fu duramente criticato da varie par­ti. Negli USA l’American Petroleum Institute pubblicò sull’argo­mento ben due volumi dal titolo The Threat of Soviet Oil, nei quali si sosteneva che il contratto era stato firmato a dispetto dei rigidi schemi imposti dalla guerra fredda. Mattei dal canto suo respingeva però tutte le critiche, rispondendo semplicemente che tramite l’accordo con l’URSS egli non avesse fatto altro che comprare una piccola parte del fabbisogno italiano, pagandone il prezzo in tubi e in gomma sintetica.

Riguardo alle obiezioni sul fatto che l’accordo fosse stato concluso proprio con l’URSS, ca­pofila del blocco comunista, e al fatto che l’acquisto del greggio a basso costo avrebbe potuto favorire una politica di dumping da parte sovietica, Mattei replicò che appena un mese dopo la Germania aveva fatto di peggio, seguita dalla Svezia e poi altri ancora. Il risultato finale di tutto questo non rappresentò altro che l’obiettivo che Mattei si era prefisso, ovvero un calo del prezzo del petrolio. Insomma, se un pentimento rimaneva in Mattei era senz’altro quello di aver fatto troppo poco.

La nascita dell’OPEC aveva chiuso il cerchio, costringendo le grandi compagnie a passare dall’arroganza al timore: due sentimenti agli antipodi. Per l’accordo con l’URSS, Mattei aveva agito secondo la ferrea logica dell’uomo di affari, sfruttando le circostanze favore­voli createsi secondo le regole del mercato. Al fine di perseguire il suo scopo, cioè sfug­gire al predominio delle “sette sorelle”, Mattei era ricorso a Mosca, comprando petrolio a prezzi inferiori e piazzando prodotti italiani.

 

 

IL SIGNIFICATO DELL’ACCORDO DI MATTEI

 

Per l’URSS l’accordo del 1960 aveva rappresentato senza dubbio un affare vantaggioso, anche perché “entrare” nei mercati occidentali assumeva un rilievo politico di notevole importanza strategica. La conferma di ciò emergeva in maniera fin troppo evidente dalle dichiarazioni fatte da

Patolicev al Co­mitato Centrale del PCUS, dalle quali si può desumere il chiaro l’intento sovietico di provocare una sorta di fibrillazione nello schieramento occidentale approfittando dell’accordo petrolifero concluso da Mattei. Le dichiarazioni rese dal ministro sovietico avevano assunto toni trionfalistici quando Patolicev, illustrando al Comitato Centrale del PCUS le modali­tà finanziarie dell’accordo petrolifero, dopo aver spiegato che le transazioni finanziarie sarebbero avvenute “precipuamente in lire italiane”, aveva concluso con tono soddisfatto che “finalmente il Governo italiano dà prova di essere nostro amico”.

Ancora più esplicito era il valore politico che l’URSS annetteva all’intesa raggiunta con l’Italia quando nella parte finale dell’ac­cordo veniva dichiarato testualmente che “per l’URSS l’Italia non era un paese ostile. L’Italia cerca[va] un partner che può vendere petrolio”.

Oltre a soddisfare la necessità italiana di procurarsi petrolio, l’accordo sottolineava come “lo Stato italiano [des­se] prova di essersi stancato dì sottostare alle norme dei fornitori occidentali di petrolio”. La identificazione fra Mattei e lo Stato ita­liano era una evidente forzatura strumentale, destinata ovviamente a provocare reazioni preoccupate sia all’interno che all’esterno del nostro Paese, allarmando non poco i nostri alleati soprattutto per­ché da parte sovietica si sottolineava come ora “il dovere dell’URSS [consistesse] nel miglioramento delle condizioni politiche per ‘al­lontanare’ l’Italia dalla dipendenza petrolifera dell’Occidente”. Appariva secondario il fatto che Mattei avesse perseguito solo lo scopo dì acquistare petrolio: con la firma dell’accordo con l’URSS e con le valutazioni espresse dai dirigenti di Mosca su di esso, Mattei si poneva inevitabilmente agli occhi occidentali nella posizione dell’”amico dei nemici”: un particolare che induceva, come sì è visto, i dirigenti sovietici ad esprimere preoccupazioni per il presiderete dell’ENI “generosamente” avvertito da Mosca di stare attento.

Per quanto riguardava la politica dei prezzi, quella adottata da Mosca era quella del dumping, come una analisi dell'”Economist” affermava, il prezzo praticato dall’URSS agli occidentali era inferio­re a quello che dovevano invece pagare i paesi satelliti come Un­gheria, Bulgaria, Cecoslovacchia ecc. Il grande clamore provocato da Mattei derivava dal fatto che era il presidente dell’ENI ad averlo concluso, colui cioè che stava sovvertendo le regole di un mercato dominato dalle grandi compagnie. Non era insomma il fatto del­l’acquisto di petrolio in sé a suscitare le ire di tanti perché l’Italia riceveva già petrolio dall’URSS così come altri paesi occidentali, ma gli approvvigionamenti degli altri non destavano apprensione, po­tendo al limite anche giovare alle stesse potenti compagnie dan­do la impressione che fossero liberali. La mossa di Mattei appariva invece “deprecabile” perché veniva fatta dal nemico numero uno delle “sette sorelle” che si vedevano private di una porzione di mer­cato, quello italiano. C’era poi il pericolo del “contagio”: chi poteva escludere che altri seguissero l’esempio del presidente dell’ENI?

E ancora: i quantitativi del petrolio che proveniva dall’URSS su­bivano, in virtù dell’accordo, un notevole incremento. Va da sé che qualcuno vedesse anche un risvolto per cosi dire “psicologico” perché al di là dei vantaggi che gli accordi contenevano, Mattei seguiva, secondo Frankel, la “linea tradizionale agli Italiani, per cui essi ten­gono a non identificarsi completamente coi loro alleati del giorno e a coltivare in certa misura una propria indipendenza che nella fattispe­cie si esprimeva civettando con gli avversari dei propri amici”.

Ci si interroga piuttosto se non fosse più realistico ritenere che Mat­tei non volesse abbandonarsi ad eventuali giri di valzer ma volesse, invece, solo portare a termine un’altra operazione per

contrastare la prevaricazione delle grandi compagnie. Più che il flirtare con i ne­mici degli amici dell’Italia, interessava a Mattei disturbare il grande monopolio: con il suo accordo favoriva infatti l’offensiva petrolifera dell’URSS. Bastava per lui che il 19 ottobre a Beirut, alla Confe­renza araba per il petrolio, il delegato americano Theodore Shabad si dicesse preoccupato per le conseguenze che le mosse sovietiche avrebbero potuto provocare, anche perché l’URSS, preparandosi a sfruttare i nuovi giacimenti del Volga e degli Urali, avrebbe potuto accrescere le offerte di petrolio a buon mercato.

Più che la tendenza a non identificarsi con gli alleati, interessava a Mattei mostrare con i fatti l’insofferenza verso le prevaricazioni, dando prova della sua indipendenza che poteva, al limite, mani­festarsi attraverso un feeling con i nemici degli amici. Significativa appariva al riguardo l’intervista a “Tempi Nuovi” nel corso della quale, quasi volesse assaporare il gusto della sfida, Mattei esaltava il commercio vantaggioso fra l’Italia e l’URSS, definendo l’ENI un “bambino terribile del mercato petrolifero internazionale” e riaffermando che il mercato del petrolio non poteva più dipendere dagli ordinamenti dei vecchi monopoli internazionali. Occorreva invece trovare nuovi equilibri fondati sulla collaborazione diretta fra paesi produttori e paesi consumatori, come nel caso dell’accordo italo-sovietico e di altri da lui conclusi.

Dovette certamente essere motivo di viva soddisfazione per Mattei leggere, pochi giorni dopo la sua intervista, sull’autorevole rivista americana “Fortune” la stes­sa analisi da lui fatta. La rivista rilevava come il sistema, fondato sul totale controllo da parte delle compagnie del Cartello sia delle fonti di produzione che dei mercati, non reggesse più e come invece sa­rebbe aumentato il ruolo del petrolio sovietico. Se le grandi compa­gnie si fossero opposte a questa realtà avrebbero suscitato i sospetti dei paesi consumatori di essere costretti a pagare prezzi più elevati a causa della cupidigia delle “sette sorelle”. L’unica via di uscita, per “Fortune”, era l’applicazione della ricetta matteiana, e cioè la col­laborazione fra paesi produttori e paesi consumatori.

Se gli organi di stampa ispirati dalle grandi compagnie petrolifere consideravano deprecabile l’accordo firmato da Mattei, la stampa sovietica suona­va una musica ben diversa. Le “Izvestia” del 20 dicembre, in un articolo a firma Bocianov dal titolo I re del petrolio diventano nervosi mentre rilevava con velato compiacimento che il Cartello mondiale petrolifero aveva svolto una accanita battaglia contro Mattei per l’accordo stipulato con l’URSS definiva l’accordo stesso come “il più grosso della storia del commercio sovietico-italiano che sta[va] a testimoniare il successo dell’ENI nella lotta contro il Cartello del petrolio e l’ulteriore dipendenza energetica italiana dalle sette so­relle”. L’articolo di Bocianov citava sia il “New York Times” che il presidente della Standard Oil Company come i maggiori avversari di Mattei e affermava come le maggiori compagnie petrolifere si fossero da tempo prefisse il compito di evitare che, a causa del pe­trolio russo, il prezzo del greggio calasse riducendo i loro guadagni. Le “Izvestia” davano atto che molta parte della stampa italiana ave­va preso le difese di Mattei e citavano l’intervista concessa da Mattei alla rivista “Successo”, nella quale il presidente dell’ENI elencava i vantaggi dell’accordo ribadendo Ì suoi noti convincimenti circa il rapporto fra paesi consumatori e paesi produttori.

 

RIAVVICINAMENTO DI MATTEI AGLI STATI UNITI

 

Mattei si rivelò ancora una volta uomo di straordinaria abilità. Impersonò nuovamente il ruolo del parente povero che aveva bi­sogno e, non arroccandosi sulla linea di ferma e dignitosa difesa del suo operato, abbandonò invece le posizioni provocatorie antiocci­dentali. Il presidente dell’ENI sosteneva che, sviluppando una politica vantaggiosa per l’Italia in Cina e Medio Oriente, aveva svolto un ruolo molto utile anche per gli USA e per l’intiero Occidente, dimostrando di essersi comportato molto meglio di altri paesi europei nel quadro dei tanto discussi e criticati rapporti con l’URSS. La sua straordinaria abilità gli permise di passare dalla posizione dì accusato a quella di difensore della causa comune e di intelligente osservatore della situazione in­ternazionale. Segnalando al Sotto Segretario di Stato americano Ball che tra Cina e URSS non c’era un idillio perfetto ma che esistevano invece molti elementi di dissidio, destinati a produrre in futuro difficili rapporti fra questi autentici giganti comunisti, Mattei aveva messo in luce un aspetto di non poca rilevanza.

Mattei era stato nei due paesi: aveva concluso affari e aveva nettamente percepito che l’URSS era una grande potenza con una sua politica estera modellata su esigenze internazionali per cosi dire “tradizionali”, mentre la Cina era una potenza rivoluzionaria pronta anche a ricercare tensioni per accreditarsi come potenza dinamica. Quando Mattei parlava con Ball si era già compiuto il divorzio fra Mosca e Pechino. Da esperto uomo di affari Mattei capiva che la Cina avrebbe sempre più rifiutato il modello sovietico scegliendo il suo modello dì sviluppo economico.

L’incontro fra Ball e Mattei si svolse a Villa Taverna. All’in­contro parteciparono anche l’ambasciatore Reinhardt, il colonnello Vernon Walters e Savorgnan di Brazzà. Mattei ripetè che le mag­giori compagnie petrolifere avrebbero dovuto trattarlo “like a hu­man being” e, orgogliosamente, affermò che sarebbe rimasto al suo posto. Aggiunse che vi erano segni di schiarite nel comportamento delle compagnie, che una compagnia inglese stava proponendo un’offerta di greggio ad un prezzo inferiore a quello del petrolio russo e che egli aveva avuto un interessante colloquio con Stott della Standard Oil of New Jersey.

Mattei fece questa importante rivelazione per facilitare un rivvicinamento con gli ambienti politici americani, alla realizzazione del quale l’incontro stesso doveva servire. Alla luce del clima di collaborazione che si stava instaurando, era verosimile che la conversazione col vicepresidente-esecutivo della Standard Oil Stott fosse stata im­prontata a spirito di comprensione, Stott era infatti il migliore interlocutore possibile per iniziare buoni rapporti, in quanto aveva avuto il primo incontro con Mattei circa dieci anni prima e la diffidenza iniziale si era trasforma­ta in rispetto allorquando Stott aveva capito che Mattei perseguiva solo gli interessi del suo Paese.

Ball si rallegrò per il miglioramento dei rapporti precisando che il governo americano non assumeva la difesa delle compagnie pe­trolifere. Riguardo alla scelta dell’acquisto di petrolio sovietico, Mattei ripetè che era suo dovere fornire all’Italia le fonti di energia più economiche.

Ball sembrò interessato all’analisi di Mattei e, dopo aver ascoltato ciò che quest’ultimo aveva da dire circa i difficili rapporti cino-sovietici, disse che desiderava informare di questo il presidente Kennedy, dal momento che la Cina “would be increasingly influential in world affairs”.

L’incontro segnò una tappa importante per Mattei, perché grazie ad esso era riu­scito a fornire un’immagine più rassicurante di sé avendo espresso francamente le sue opinioni e lasciato intendere che avrebbe proseguito a fare gli interessi dell’Italia. Ma il colloquio era stato soprattutto importante

perché i due motivi principali del contendere erano stati rimossi: se gli USA erano rimasti turbati dall’esternazione di antiamericanismo fatta da Mattei, ora erano stati adesso rassicurati circa l’ infondatezza di quel sentimento professato solo ad usum delphini. Parimente, se in un primo momento Mattei temeva che la politica degli USA fosse pilotata dalle grandi nemiche, ora aveva avuto l’as­sicurazione del sottosegretario di Stato che cosi non era o, almeno, non lo era fino al punto da impedire che gli USA capissero le giuste ragioni di Mattei.

Alla fine del mese di maggio, dunque, il barometro dei rapporti fra Mattei e le compagnie era passato almeno da tempo cattivo a tempo in miglioramento. Sarebbe stato azzardato so­stenere che i rapporti fra Mattei e le grandi compagnie, che egli aveva sempre strenuamente avversato ritenendole smisuratamente egoiste (e che sostanzialmente aveva messo sul banco degli accusati anche nel colloquio pur ammettendo un netto miglioramento al­meno sul piano formale con la Esso), si fossero normalizzati e che Mattei altro non attendesse che fare accordi con esse.

Vero è che durante l’estate del 1962 un negoziato ENI-Esso ebbe luogo, quasi che il colloquio con Ball avesse dato un notevole impulso allo “useful talk” che egli aveva avuto con Stott. La trattati­va sollecitata dal presidente della Esso italiana, Cazzaniga, avrebbe dovuto portare alla stipula di un accordo come quello concluso con l’URSS. Scrive Li Vigni che “le trattative si svolsero a Roma e si conclusero alla fine dell’estate”.

Il “rasserenamento” comunque ci fu realmente, anche se c’è da credere che Mattei continuasse a nutrire più di un risentimento ver­so le grandi compagnie. Un’intesa con la Esso fu raggiunta: Pirani mi confermò durante un’intervista che “l’accordo” con la Esso, Mattei lo aveva fatto e che questo “accordo” avrebbe consentito all’ENI di partecipare ai con­sorzi in Iran e in Irak. A conclusione della trattativa, Mattei assicurò an­cora Pirani. Mattei aveva l’”accordo” in tasca e che doveva solo essere firmato. Fu Mattei, aggiunse Pirani, a dirmi: “poi lo firmeremo”. Di fronte a qualche perplessità, Pirani mi ripetè: “Mattei aveva raggiunto l’accordo, c’è Ruffolo che potrebbe testimoniarlo perché Mattei glielo fece vedere”. All’onorevole Giorgio Ruffolo chiesi se, come mi aveva detto Pirani, vide l’accordo e se esso era più una dichiarazione di intenti o, invece, un vero e proprio accordo con contenuti ben precisi. L’onorevole Ruffolo mi rispose: “Mattei mi fece vedere una bozza. Era qualcosa di molto favorevole all’ENI”. Aggiunse: “Mattei ne era molto orgoglioso e disse: vede quanto sono pronti adesso a darci delle cose, a venirci incontro. Fino a due anni fa non lo avremmo ottenuto. Quello che mi fece vedere era, diciamo, un palinsesto’ più che un accordo”.

Ampliando poi il discorso l’onorevole Ruffolo aggiunse: “Mattei aveva contatti in corso con gli USA come con altri perché Mattei manovrava molte funi e lo faceva con molta abilità senza nulla di definito. Mattei disse a Pirani: teniamoli sulla corda perché non bisogna mai concludere: teniamoli sulla corda sia i russi che gli americani. Voleva tenerli sulla corda”.

Non credo che quello concluso fra Mattei e la Esso fosse un ac­cordo come quello stipulato con Patolicev a Mosca ma una dichia­razione congiunta tra le due parti con qualche buona opportunità per l’ENI.

 

Conclusione

Le relazioni bilaterali tra i due Paesi oggetto dell’analisi erano tormentati e soffrivano della discresia tra ambito politico e ambito economico, una situazione che si poteva correggere al rialzo avvicinando quello politico a quello economico.

Le relazioni culturali tra i due Paesi erano di antica data e scaturivano ovviamente dal fascino e reciproco richiamo che possono avere due nazioni ricche di storia e cultura.

 

Quello con Mosca – lo si è detto – fu un accordo “storico”. L’accordo dell’ottobre del 1960 spalancò le porte del mercato sovietico alle imprese italiane. E l’incontro tra Kossigin e Mattei nella fine del maggio 1960 fu l’anticamera.

Mattei aveva fatto una ardita manovra di avvicinamento al più proibito dei frutti proibiti: rompendo i rigidi schemi imposti dalla divisione del mondo in blocchi contrapposti. Aveva firmato un importante accordo con il ministro del Commercio estero sovietico, Nikolaj Patolicev, per consistenti forniture di petrolio a prezzi vantaggiosi in cambio di tubi che dovevano essere prodotti dal centro siderurgico di Taranto ancora in fase di realizzazione.

L’accordo con l’URSS fu un operazione squisitamente economica anche se l’effeto fu quello in sede atlanica e occidentale di considerare l’accordo più che una sbavatura, una deviazione.

Sia l’Italia che l’URSS beneficiavano di un accordo importante con la costruzione di un oleodotto che avrebbe portato interessi strategici nel settore. L’interesse sovietico non era tanto quello di scardinare la struttura atlantica quanto quella semmai sul piano strettamente economico di ottenere liquidità. In fondo, ciò che Mosca cercava e che ottenne con l’ENI l’apertura del mercato dell’Europa occidentale ai suoi prodotti petroliferi. E l’ENI, dal canto suo, aveva ottenuto in cambio la possibilità di poter sfruttare le opportunità che il mercato sovietico presentava. Nella realtà l’accordo si sposava perfettamente con la tesi di Krushev alla base della “cosistenza pacifica”.

I due Paesi oggetto dell’analisi avevano economie complementari e di conseguenza avevano due obbiettivi strategici diversi ma non opposti. La posizione negoziale conquistata dall’ENI imponeva di non abbandonare questa posizione anche all’indomani del tragico cambio di presidenza dopo la morte repentina di Mattei. D’altronde per un paese completamente povero di risorse energetiche come l’Italia, qualsiasi condizione di poter ottenere condizioni di approviggionamento vantaggiose poteva risultare importante. Una condizione che divenne assoluta necessità all’indomani della crisi petrolifera del 1973, quando, l’ENI si trasormò in mero compratore di greggio rallentando notevolemnte la capacità di raffinazione interna. A questo bisogna aggiungere che gli investimenti allo sviluppo di fonti alternative al petrolio furono gestiti non sempre in modo adeguato.

Nonostante tutto le offerte di collaborazione tra Italia e URSS non mancarono.

Il Cartello delle potenti compagnie avrebbe registrato infatti una defaillance: l’azione dell’URSS con i quantitativi che immetteva nel mercato aveva posto le majors nella condizione di non reggere più la concorrenza e forse l’accordo Mattei-URSS era stata la classica goccia.

L’orgogliosa Standard Oil, senza consultarsi con le altre majors, ritoccò in basso il prezzo del petrolio e così nella riunione dei paesi produttori (14 settembre 1960) nacque l’OPEC: gli “schiavi” si stavano ribellando. Mattei aveva visto per tempo ciò che sarebbe successo.Dall’analisi dei documenti qui sviluppata, si può al massimo affermare che esistevano i presupposti perchè la si raggiungesse una tregua tra il Cartelli e Mattei. Infatti, se è pur vero che si era registrata un’attenuazione dei contrasti tra Mattei e le grandi compagnie è pur vero che Mattei non aveva ancora ottenuto i risultati sperati prima del tragico incidente. Dalla documentazione sovietica si evince che poco prima di firmare l’accordo economico successivo quello del 1960 con Patolicev, Mattei chiariva esplicitamente che la reazione dei produttori di petrolio mediorientali non avevano fatto altro che ribellarsi ad un sistema imposto dalle grandi compagnie per massimizzare i profitti, al quale essi non volevano più sottostare. Per Mattei dunque erano state le compagnie a pianificare ed imporre i prezzi: bisognava dunque voltar pagina perché il vecchio sistema era anacronistico.

Per quanto riguarda i rapporti tra il governo italiano e Mattei, dalla documentazione analizzata, si può certo comprendere che la Farnesina era a conoscenza dell’accordo che stava per sviluppare Mattei e non si volle frenare la corsa in avanti. Dall’altra va detto che probabilemnte fu il legame comerciale a impedire la paralisi politica.

Dal canto suo, Fanfani, a capo di un governo quadripartito, rinnovava la lealtà italiana verso gli Alleati occidentali, ma, nonostante in occasione del suo viaggio a Mosca Kruscev non riservasse a Gronchi un’accoglienza molto signorile, rendendosi protagonista, forse perché in preda a qualche bicchiere di vodka in più, di un autentico coup d’assomoir (invitò il nostro Presidente a diventare comunista), Mattei continuava ad essere visto benissimo dall’URSS, a tal punto che l’11 ottobre 1960 l’accordo storico fu firmato, provocando ancora l’indignazione di Washington per la quale i rapporti fra Mattei e l’URSS stavano diventando una sorta di ombra di Banquo.

I timori americani crebbero ancora, ovviamente. Ci si chiese se fosse opportuno incontrare Mattei per sapere da lui dove voleva arrivare.

II 10 marzo 1961, l’ambasciatore viaggiante di Kennedy, Averelll Harrimann, incontrò Mattei alla presenza di Alvise Savorgnan di Brazzà (alto dirigente dell’ENI e fidato di Mattei) e di Vernon Walters (membro CIA a Roma e addetto militare).

Mattei ammise di essere nemico delle “sette sorelle”, accusandole di perseguire una politica suicida perché i produttori avrebbero nazionalizzato, e decise di acquistare petrolio da Mosca perché il prezzo era più conveniente. Disse che i sovietici stavano lavorando forte. Harrimann chiese a Mattei se avesse mai ricercato il dialogo con le Grandi Compagnie e Mattei rispose che lo aveva fatto ma senza risultato. Mattei miscelò sapientemente umiltà e sapienza. Rispose a tutto. Harrimann ammise che Mattei aveva ragione a comperare il petrolio a prezzo più basso e disse che Mattei aveva limpidezza di intenti. Insomma: da interlocutore sospetto Mattei uscì come manager dalla forte personalità e soprattutto ad Harrimann apparve tutto fuorché comunista.

 

APPENDICE

 

Appendice n. 1

A.N. Kosygin — E. Mattei, 31 maggio I960, Archivio del Ministero degli Affari Esteri della Federazione Russa-MID (AVP RF) opis 43, del 1, Papki 59, Documento segreto.

Durante il soggiorno a Roma, al pranzo organizzato dall’ambasciatore, A.N. Kosygin ha avuto un colloquio con Mattei, presidente dell’Eni, l’Ente petrolifero controllato dallo Stato. L’Eni rappresenta un grande comples­so che provvede all’esplorazione, all’estrazione, al trasporto e alla vendita al dettaglio dei prodotti petroliferi sia in Italia, dove controlla un quarto dell’intero consumo, sia nei Paesi dell’Oriente arabo e dell’Africa: Marocco, Egitto, Sudan, Iran e Ghana.

Inoltre Enrico Mattei (Eni) ha un’enorme produzione di concimi d’azo­to, di concime artificiale sintetico e altri prodotti nonché costruzione degli impianti per la raffinazione, e degli impianti per gli oleodotti; inoltre pos­siede un’importante produzione di utensili. Negli ultimi tempi, l’Eni riserva molta attenzione ai problemi dello sviluppo dell’energia nucleare. Parlando dei problemi comuni della concorrenza mondiale nell’ambito del petrolio, Mattei ha dichiarato che, nel momento attuale, l’Eni si è posta l’obiettivo di alleggerire la presenza in Europa e in Artica delle grandi compagnie interna­zionali del mercato petrolifero che fanno parte del Cartello come: Standard Oil, lhitish Petroleum, Shell, rimpiazzare il petrolio americano del mercato africano e dell’Europa occidentale.

Mattei ha tatto allusione al desiderio di intraprendere qualcosa per inco­raggiare Raava [?] in relazione alla realizzazione della sua offerta, tenendo conto della prospettiva di unione dell’oleodotto Trieste-Vienna con l’oleo­dotto sovietico. Mattei ha affermato di rendersi conto che la lotta con il Cartello sarà dura e lunga, poiché il Cartello ha al suo servizio personalità politiche importanti di tanti Paesi. Tuttavia Mattei è convinto della vittoria finale; egli ritiene, intatti, che esitono motivi economici oggettivi per far saltare i prezzi dei prodotti petroliferi applicati dal Cartello. Collegandosi a questo, Mattei ha dichiarato direttamente che nella sua lotta contro il Cartello egli si basa sull’aiuto e il sostegno da parte dell’Urss; infatti egli dice che l’Eni utilizza il petrolio che riceve dall’Urss per “combattere” il Cartello. Perciò Mattei divulga l’andamento delle relazioni economiche tra Eni e Urss, perché questo rafforza il suo prestigio con Usa e Gran Bretagna. In effetti la questione sta nel tatto che in futuro il petrolio americano ven­ga sostituito con il petrolio sovietico. A.N. Kosygin ha detto a Mattei che secondo lui l’Europa può cavarsela con le proprie risorse petrolifere, senza il petrolio americano e soprattutto senza il Cartello internazionale, che riscuote grandi profitti dall’Europa. Questo è vero in particolare per quanto riguarda le prospattive future e soprallctto per la costnuzione dell’oleodotto sovietico fino a Berlino, che fornirà fino a 35 milioni di tonnellate di pe­trolio all’anno. Kosygin, ha affermato anche che l’Urss ha l’intenzionedi migliorare le sue relazioni economiche con l’Italia e l’Eni per la cooperazione in base al principio del vantaggio reciproco. In questo senso avrebbe un significatoimportante la conclusione di un accordo a lungo termine di almeno 5 anni, che permetterebbe di inserire nei Piani (quinquennali, ndt) relazioni economche e commerciali tra i due Paesi. Kosygin ha aggiunto di aver parlato oggi stesso di questo argomento con il presidente Gronchi, il quale concorda per la conclusione di un tale accordo. Mattei ha detto che anche lui, da parte sua è a favore dell’accordo a lungo termine. Successiva­mente, nel corso della discussioni ha proposto di concludere le trattative sull’operazione dell’oleodotto e del concime sintetico per consolidare la co­operazione tra l’Eni e le organizzatoni sovietiche. In cambio di 7 milioni di tonnelate di petrolio sovietico l’Eni fornirà all’Urss 150 mila tonnellate di tubi per il trasferimento del petrolio, più una quantità di 55 mila tonnellate di concime sintetico. Scadenza della fornitura e del pagamento: 1965. In questo modo avrà luogo il parziale saldo del credito da parte dell’Eni. Mattei ha aggiunto che le trattative riguardanti questa transazione, vengono gestite da organizzazioni commerciali estere. Da marzo sperano che termineranno con successo. In questo caso, come ha fatto capire Mattei, sarebbe molto lieto di venire a Mosca per convalidare il contratto. Kosygin ha chiesto a Mattei di preparare, congiuntamente alla sezione commerciale dell’ambasciata sovietica; diretta da Salimovskji, la stesura di un promemoria come un vero affare. Nello stesso modo si deve procedere per ulteriori collaborazioni con l’Eni e in particolare per quanto riguarda la possibile fornitura da parte dell’Eni di uno stabilimento di raffinazione con potenza di 6-9 milioni di tonnellate da pagare con il petrolio. Mattei ha promesso di fare questo. In conclusione della conversazione, Kosygin ha raccontato brevemente a Mattei dello sviluppo dell’esplorazione e dell’estrazione di petrolio e di gas in Urss. Alla conversazione hanno partecipato l’ambasciatore Kozyrev e il rappresentante commerciale in Italia, Salimovskji.