Finalmente ci siamo, sto per lasciare l’Europa alla volta della Siberia, farò tappa a Irkutsk. Ma in quest’occasione so già che anche Irkutsk sarà solo uno scalo verso la destinazione finale, nel profondo oriente russo: Kabarovsk. Durante il volo faccio amicizia con un paio di bizzarri giovani individui che, come quasi tutti i maschi russi, trovano modo di bere anche durante il viaggio aereo. Capisco subito che per essere russi sono ricchi, infatti, oltre al fatto stesso di potersi permettere l’aereo, uno dei due addirittura parla inglese ed inoltre si permettono di acquistare bottiglie di whisky a bordo a prezzi stratosferici. Naturalmente tra birre e whisky vengo coinvolto nella bevuta, ma sono quasi 24 ore che non mangio e non posso di certo scolarmi svariati bicchieri colmi di un liquido a 40 gradi! Il più tarchiatello dei due sembra interessato al mio viaggio presente ed anche alle mie esperienze passate in Russia, almeno finchè non crolla dal sonno sopraffatto dall’alcool.
Nelle pause tra un discorso in anglo-russo e l’altro posso sbirciare dal finestrino ed ammirare un paesaggio a tratti fiabesco: appena fuori Mosca ci troviamo pocosopra un manto compatto di nuvole fantasticamente candide, non sono omogenee ma disegnano varie figure che si innalzano o si abbassano rispetto allo strato più basso, sembra di galleggiare sopra ad una coltre di panna spray che ricopre dolcemente una mousse alla menta, cioè la distesa di foreste verdi sottostante.
Due metri di persona più uno zaino stragonfio di ogni cosa non costituiscono certo una garanzia per la comodità durante il volo su di un claustrofobico Tupolev russo. Cerco anche di dormire un po’ ma l’impresa si rivela impossibile, se almeno la bambina davanti a me la smettesse di spingere con tutte le sue forze il sedile contro le mie ginocchia (perchè lei che già è minuscola vuole anche sdraiarsi completamente), forseriuscirei a anche a riposare, ma cosi è impossibile. Avrei una voglia di prendere a cinghiate il padre della pestifera, ma poi mi espellerebbero dalla Russia, con tutto quello che ho già speso!
Tanto vale osservare il cielo siberiano, dunque. Lo spettacolo migliore arriva quando, giunti ad un certo punto imprecisato, posso distinguere chiaramente la sorta di barriera oscura che si para davanti a noi: l’inizio della notte infatti si fa sempre più vicino, le tenebre aspettano il nostro arrivo. Volando verso est viaggiamo verso la notte lasciando i rassicuranti tiepidi bagliori del giorno dietro di noi. Come se la natura volesse, con una specie di metafora tutta sua, avvertirci che stiamo entrando nella “buia” e misteriosa Siberia. Gli ultimi raggi lucenti entrano attraverso i finestrini dalle regioni che guardano verso l’artico, poi in un attimo siamo avvolti da dense ombre.
Sparute luci artificiali segnalano giù in basso da qualche parte la presenza dell’uomo, ma ora è il nero a dominare, non si distingue più nulla ormai. Poco dopo capirò che in questo buio pesto stiamo sorvolando una coltre di spesse e cupi nubi, che peraltro in parte ci avvolgono. Verso sud una gigantesca e continua tempesta imperversa con una ridda di tuoni, fulmini, saette: lampi di luce accecante disegnano nel cielo nervosi e affascinanti scarabocchi prima di scaricarsi al suolo. Non è uno spettacolo molto rassicurante, penso che forse è il biglietto da visita siberiano che mi viene consegnato dall’alto questa volta.
Irkutsk vista dal cielo sembra una città del videogioco Sim City riuscita male. Le case sono brutte, vecchie e mal disposte e una enorme ciminiera orlata dai colori bianco e rosso spicca su un lato dell’abitato. Al momento dell’atterraggio riconosco tutte le strutture dell’aeroporto dove l’anno scorso ho trascorso 18 ore in attesa della partenza e ricordo tutto come un incubo!
Tappa a Irkutsk
Sono distrutto e vago per le vie della città con gli zaini cercando un hotel dove sistemarmi per recuperare le ore di sonno perdute. Naturalmente in quelli che conoscevo già vengo respinto (anche in malo modo) per mancanza di stanze libere e cosi devo arrangiarmi con una sistemazione in un quartiere fuori mano, in un lurido hotel dove nemmeno mi registrano il visto ed in cui le buone maniere sembrano non essere comprese nel prezzo, peraltro esiguo. Ma non c’è tempo per dormire, questo è un lusso che potrò concedermi solo dopo che avrò acquistato un biglietto aereo per Kabarovsk. Cosi riprendo il mio peregrinare per le strade (fortunatamente dopo la mia visita di un anno fa le conosco abbastanza bene e non ho bisogno di cartine) per arrivare all’ufficio dove lavora una simpatica signora dai tratti orientali che già nell’ultima vacanza mi aveva aiutato per la visita del Bajkal. Aspetto un’ora prima che l’ufficio turistico al secondo piano dell’hotel Angara apra, appena entro la signora Ekaterina mi riconosce al volo! Si ricorda tutto e iniziamo una piacevole chiacchierata, in un misto di anglo-russo. Mi procura subito il biglietto aereo di cui ho bisogno, però non ho contanti da darle e devo cambiare i travel cheque che ho con me per avere il biglietto.
Un’operazione apparentemente facile può rivelarsi in Russia un’odissea. Mi reco alla banca più vicina, dove già un anno fa avevo cambiato i travel cheque, ma mi aspetta una delle tipiche situazioni da ufficio pubblico russo: non si sa perchè ma lo sportello che mi interessa è chiuso e non si capisce se e quando aprirà. Nel frattempo si crea una coda di persone veramente eterogenea e scombinata, evidentemente quell’ufficio non interessa solo me. Passa circa un’ora e mezza, in piedi, in uno spazio di pochi metri quadrati.
Sono digiuno da non mi ricordo più nemmeno quante ore e inizio a capire che se non bevo almeno qualcosa potrei collassare li sul pavimento. Torno all’ufficio turistico,mi viene indicata un’altra banca (pure lontana e sono a piedi), ma anche in quella ci sono problemi, riesco ad intuire che una banca dati cui sono connesse tutte le banche non funziona e perciò nessuno sportello può essere operativo!
A questo punto ritorno alla prima banca, non ce la faccio più, sto sudando come una fontana, aspetto ancora (non ho scelta) e finalmente dopo circa 4 ore in piedi posso avere i contanti di cui ho bisogno!
Mi ripresento da Ekaterina in condizioni pietose: viscido come una lumaca, sprofondo sulla sedia del suo ufficio gocciolando sudore qua e là (ma che caldo infernale che fa in Siberia!) e trangugiando 2 litri di succo di frutta appena comprato per non svenire causa mancanza di zuccheri.
Finalmente posso tornare in albergo e buttarmi nel letto, dopo due giorni sempre sveglio.
Purtroppo non dormirò nemmeno un minuto, la mia stanza confina con un garage privato in ristrutturazione e fino a notte lavorano con un martello pneumatico a circa due tre metri da me in pratica. Quando la mattina seguente lascio questa stamberga, in compagnia di un tassista dal volto sfregiato, sono stracontento di poter finalmente lasciare Irkutsk per volare nell’estremo oriente russo.
Dalnyj Vostok
Ecco che finalmente, dopo quasi 4 giorni di aerei, spostamenti provvisori e varie difficoltà, arrivo a destinazione. Il Dalnyj Vostok (profondo est) è una terra desolata, già lo si intuisce da ciò che si scorge dall’alto con l’aereo. In un’area che va dal confine cinese, alla Kamchatka, all’oceano artico, vivono circa 7 milioni di persone !!!! Meno che nella sola Lombardia!
A Kabarovsk le condizioni atmosferiche sono pessime: il sole martella dall’alto e non si muove un filo d’aria, un caldo torrido e molto afoso mi dà il benvenuto nell’ennesima città sconosciuta che mi appresto a visitare. Rimedio un taxi con una contrattazione serratasul prezzo, e mi faccio portare in un hotel che dovrebbe essere decente e a basso prezzo, unico difetto è lontano dal centro.La calura è davvero insopportabile, se penso che nello zaino ho con me la giacca che uso in inverno in Italia mi viene da ridere. Eppure l’anno scorsoè servita, nello stesso periodo.La sistemazione in albergo è ottima e ne approfitto per dormire tutto il pomeriggio e la notte, sempre senza mangiare, se si esclude quello che può definirsi pranzo fatto in aereo.
Davanti alla finestra della mia stanza si snoda la principale arteria stradale che porta in centro, ovviamente il rumore è insopportabile ma la sera magicamente scompare ogni sorta di traffico. Ora posso rilassarmi e pensare solo ad iniziare “veramente” la mia vacanza, da domani infatti potrò dedicarmi alla visita di questi luoghi.
Il mattino esco presto per cercare di evitare il caldo, le prime impressioni confermano ciò che pensavo precedentemente: non offre un granchè questa zona, meglio altre parti della Russia. Una lunga passeggiata seguendo la via principale Carlo Marx mi porterà fino al fiume Amur che lambisce la città ad ovest. Il cielo è completamente sgombro da nubi e di un azzurro intenso,la temperatura già fa capire come sarà il resto della giornata.
Arrivo in P.zza Lenin e la trovo subito immensa: rettangolare, lucida, col sole che si specchia sul lastricato centrale in mezzo a cui si trova una fontana rinfrescante. Questa parte della città è tenuta molto bene e presenta anche alcuni edifici di interesse storico restaurati, sopravvissuti a guerre civili e con la Cina; non si può dire altrettanto delle vie parallele che, man mano che ci si allontana dal viale dedicato a Marx, perdono di eleganza e mostrano edifici sempre più decrepiti.
Dopo 5 chilometri scorgo un’estesa balconata che si affaccia sull’Amur, il fiume che divide Cina e Russia, anche se qui tutte e due le sponde sono russe, dato che il fiume compie un’ansa che inizia a portarlo verso nord.
Il panorama è bello ed accattivante, soffia anche una brezza leggera che mitiga l’asfissiante clima odierno.
La vista può spaziare in lungo e in largo, ma il fiume non è cosi immenso come altri tra quelli siberiani; infatti rispetto allo Enisej non mi dice nulla, si, è grande, ma non c’è confronto con quest’ultimo. Fin dove può arrivare lo sguardo riesco a scorgere una distesa di un verde pallido che a volte si chiazza di colori tendenti al giallo-grigiastro, l’aspetto di queste pianure è triste e monotono, nessun rilievo si nota a vivacizzare l’orizzonte e sembra che tutto sia avvolto in una cappa immutabile di noia e afa d’estate, di noia e gelo d’inverno. Perfetto esempio di clima continentale.
C’è una scalinata che conduce fino alla spiaggia sabbiosa a ridosso del fiume, mi trovo cosi su una specie di lungo(mare) che costeggia tutto il fiume nel suo tratto lungo il perimetro della città a monte e a valle; da una parte si trova la stazione fluviale dove decine e decine di persone fanno la fila sui ciottoli della riva per aspettare traghetti per varie destinazioni, dall’altra inizia una lunga distesa di scogli e rocce che dividono il fiume da un centro sportivo. La spiaggia al mattino è quasi deserta, ma nel pomeriggio brulica di persone che si arrostiscono al sole cocente. E’ completamente spoglia, infatti non c’è nessuna traccia di stabilimenti balneari o cose simili, non ci sono nemmeno gli ombrelloni. L’acqua è di un colore strano, come melmoso, penso che sicuramente sia inquinata ma tanto tutti si tuffano per cercare refrigerio. Dopo qualche ora passata in solitudine sulla riva coni piedi a mollo capisco che la mia mente si sta lentamente alienando, decido dunque, per risvegliare il mio cervello intorpidito, di fare una visita al museo più importante della città prima di affrontare la strada infuocata che mi riporterà in albergo.Sosto un pochino nella chiesa che si eleva maestosanella piazza sovrastante la spiaggia, dove si trova la balconata panoramica, ma non mi dice più di tanto, è molto alta e con una base stretta; esternamente luccica con le guglie di un turchino splendente, internamente si presenta ricca di icone alle pareti. All’ingresso del museo una vecchietta mi fa pagare un biglietto dal costo inverosimilmente alto, chiedo spiegazioni ma pare essere proprio quello il prezzo, lei mi sorride dietro le rughe che le ornano gli angoli della bocca e non vedo altra soluzione che quella di pagare. Al primo piano è esposta la solita strage di animali imbalsamati: dalle coccinelle agli orsi, ai pesci, un sacco di pesci. Interessanti i resti dei mammut, delle gigantesche zanne ed uno scheletro quasi completo enorme. Ai piani superiori si trova la parte storica, vi sono informazioni ed oggetti riguardanti la vita nella regione nei secoli passati, il periodo della rivoluzione, le varie guerre con i cinesi. La sala finale è costituita da una scala a chiocciola che sbuca alla sommità del soffitto, con i muri completamente pitturati per esaltare le gesta delle battaglie con i cinesi (almeno cosi mi pare di aver capito, la mia conoscenza della lingua è ancora troppo limitata per comprendere tutto quello che è esposto in un museo). Il mio secondo giorno di soggiorno passa in maniera molto rilassante, la mattina mi sistemo in un internet cafè a leggere mail, faccio una spesa abbondante e poi mi dedico ore ed ore all’osservazione del panorama che si estende alla vista dall’alto della balconata panoramica sull’Amur. Il tempo si è guastato rispetto al giorno prima e iniziano a notarsi in lontananza cumuli di nuvole minacciosamente tetre. Ci manca solo che inizia piovere, non posso nemmeno andare in albergo perchè non ho più la stanza, infatti alla sera prenderò il treno per andare verso ovest e dormirò in cuccetta. Il restodella giornata lo trascorro ad un parco abbastanza grande, con varie attrazioni per piccoli e meno piccoli, immerso nel verde e attrezzato per alcuni sport. Ad una estremità del parco si trova una grande e bella vasca aperta dove tra giochi e spruzzi d’acqua i bambini e anche i grandi si divertono un macello; il sole infatti ha vinto la battaglia con le nuvole e ora sene sta alto e trionfante nell’azzurro. Ci sono anche delle piccole cascate d’acqua da cui scroscia acqua in quantità su gradoni di pietra. Veramente bello, non pensavo di trovare un ambiente del genere. Questo pomeriggio però non è veramente passato mai, la solitudine inizia a farsi sentire dopo quasi una settimana, per fortuna da domani sarò in compagnia. Finalmente arriva comunque l’ora di dirigermi in stazione, con i miei due zaini in spalla logicamente sono sudato fradicio sotto il sole, ma non intendo spendere soldi per un taxi. L’esterno della stazione è proprio curato, tenuto bene, nuovo…dentro è l’esatto opposto. Nemmeno in Marocco ho visto delle stazioni conciate cosi. Sembra che abbia subito un bombardamento, è in ristrutturazione ma fa proprio schifo. Spessi cumuli neri di sporco regnano sovrani agli angoli degli stanzoni, i gradini per raggiungere il sottopassaggio sono sgretolati, ma soprattutto l’ambiente è invaso da centinaia di mosche che mi ricordano i peggiori luoghi del Marocco appunto. I muri trasudano un unto secolare, anneriti qua e là intorno ai caloriferi arrugginiti e scrostati. Il soffitto perde pezzi del poco intonaco rimasto, insomma sta cadendo tutto in rovina! Mi siedo tra alcuni ragazzi dell’esercito, quelli che sempresi incontrano in Russia nelle stazioni, che tornano a casa o riprendono servizio chissà dove. Ad un certo punto si sistema davanti a me una specie di barbone che rende chiaramente l’idea di cosa sia successo alla società russa dopo lo scioglimento dell’URSS; è sporco, pieno di malanni e bende, non riesce nemmeno a tener su la testa e continua a ciondolare anche da seduto, il suo volto ricoperto di rughe nasconde probabilmente i lineamenti di una persona non cosi anziana, ma varie vicissitudini hanno portato in questo stato. Non so se è ubriaco ma penso che appena metta assieme degli spiccioli l’unica cosa che faccia sia comprarsi da bere, almeno cosi fanno quasi tutti. Gruppetti di mosche stabiliscono una colonia temporanea intorno alle sue labbra, e vengono scacciate solo quando una bambina, correndo, passa abbastanza vicino per spostare un po’ di aria. Nel 1990 c’erano circa 4 milioni di poveri dall’Europa dell’Est al pacifico sovietico, oggi sono 168 milioni. Inizio a sentire la tensione e l’emozione salire mentre attendo l’arrivo del treno. Sto andando verso ovest fino ad un paesino dove sarò ospite di amici, nella famiglia di una ragazza conosciuta in stazione a Mosca un anno fa. Avevamo parlato (per come si possa parlare senza che io conoscessi una parola di russo e senza che lei parlasse una parola nemmeno di inglese) per un paio d’ore e poi scambio di indirizzi e via ad un anno di corrispondenza postale (non interneteh!), resa possibile anche dal fatto che ho iniziato il corso di russo per rendere più facili futuri viaggi in questo paese. Per prima cosa fra poco rimetterò piede su un treno della ferrovia transiberiana, e già questo basta a far crescere l’attesa, inoltre non riesco ad immaginare come sarà il posto dove rimarrò per dei giorni e poi dopotutto vado da persone che comunque non conosco, al massimo c’è stato uno scambio di qualche lettera, ma non molte.
Sulla transiberiana
Per tutte queste ragioni sono dunque emozionato e una grande incertezza mi tiene in tensione prima della partenza da Kabarovsk. L’altoparlante scandisce l’arrivo del treno numero 325, quello che mi porterà a Seryshevo dopo una notte di viaggio, e, mentre scendo le scale dai gradini sbriciolati del sottopassaggio, sento la per certi versi piacevole sensazione delle “farfalle nello stomaco”: mi sembra di avercene uno stormo…
Il mio posto in kupè (cuccetta) è afoso e caldissimo, sistemo gli zaini e inizio col fazzoletto a tamponare i rivoli di sudore che scendono dalla fronte madida. Poco dopo arriva anche quello che si rivelerà l’unico compagno di questo viaggio, un signore che scenderà poco prima di me, che continua a giocare con il suo
cellulare. La vecchia provodnitsa si dimostra interessata a me, mi chiede se sono solo, dove vado e mi dice dove posso trovare da mangiare, visto che tanto per cambiare sono a digiuno. Inseguo per un paio di vagoni una cicciona che con un carrello passa a vendere sosiski e pivo (salsicce e birra). Una birra gelata, una bottiglia d’acqua, tre panini unti, caldi e dotati di salsiccia saranno la mia cena. Appena entrato nel mio scompartimento mi è sembrato di essere a casa, tutto perfettamente identico a come lo ricordavo, l’atmosfera mi pare davvero familiare e mi trovo subito a mio agio. Sono ancora una volta sulla transiberiana! Ci sono tutti i presupposti per una dormita storica e riposante, ma fino all’ultimo raggio di sole cerco di resistere alla stanchezza per osservare il panorama che scorre fuori dal finestrino. Le pianure di questa zona sono tristi, almeno cosi mi paiono, il paesaggio non è intervallato che da acquitrini e stagni che da li a poco andranno a formare le paludi del Birobidzan. Questi luoghi sono maledettamente infestati da zanzare, tafani mosche e altre decine e decine di insetti grossi, strani, volanti e desiderosi di pungere la pelle umana. Una zanzara particolarmente irritata riuscirà di notte ad entrare dal finestrino aperto e si rivelerà accanitamente belligerante, limitando di molto il mio riposo. Fino a quando riuscirò a intravedere qualcosa al di fuori del finestrino vedrò solamente il solito susseguirsi di foresta, qui un po’ più diradata, e zone paludose.
Mi ricordo di quello che ho letto sul libro “In Siberia” a proposito della città di Birobidzan, capitale della provincia autonoma degli Ebrei. Pare davvero strano che negli anni ’30 qualcuno ebbe l’idea di provare a fondare qui una nuova terra d’Israele! Non riesco a sorgere nulla della città perchè ci passiamo nottetempo, però so che c’è un doppio cartello, con scritto il nome della stazione anche con i caratteri dell’alfabeto ebraico.
Durante la notte il sonno prende il sopravvento e lentamente l’emozione cala, ma la mattina seguente alle prime luci mi sveglio e subito l’agitazione si fa sentire. Da un anno provo ad immaginare come può essere il paese in cui fra poco sarò ospite, ma non riesco proprio a figurarmelo, perchè so che comunque sarà molto diverso da un qualsiasi luogo italiano. Anche se in Russia ho già visto sia grosse città che paesi minuscoli ciò non mi aiuta, perchè i piccoli paesi che ho visitato si trovavano comunque in zone assai remote, per cui potevo capire certe condizioni, ma qui non so cosa aspettarmi. Sono dunque maledettamente curioso, ma sono diviso tra la voglia di arrivare e quella direstare sul treno, che ormai essendo un posto conosciuto, mi da una sorta di sicurezza che svanirà appena scenderò a terra nel paese sconosciuto. Se si trattasse di una grossa città sarebbe diverso, sono più abituato e inoltre posso avere punti di riferimento leggendo una guida turistica ad esempio, ma qui l’unica cosa che so con certezza…è che appena sarò giù dal treno non saprò cosa fare.
Mentre mi avvicino alla mia destinazione osservo paesi e villaggi che interrompono la monotonia della taiga e ad un tratto capisco quanto sono stato ingenuo! Già l’anno scorso ho visto un mucchio di cittadine ai margini della ferrovia, distanti dai grandi centri urbani, e quindi posso farmi un’idea dell’aspetto che avrà il paese che mi accingo a visitare. Certo, ma come ho fatto a non pensarci prima? Se i centri abitati visti nelle ultime ore erano tutti abbandonati a sè stessi e pullulanti dicase di legno (dace) come potrà essere diverso il prossimo? Somiglierà a tutte le cittadine russe di provincia, estremamente diverse dalle nostre, con propri ritmi e situazioni caratteristiche.
Belogorsk è l’ultima fermata prima di scendere. Cerco di carpire, guardando fuori dal treno, qualcosa che possa anticiparmi le sensazioni della mia discesa alla prossima stazione. Forse è meglio non osservare con troppa attenzione però, una grossa industria arrugginita e molto vasta costeggia la ferrovia per un lungo tratto, dalla parte della città, meglio guardare le piante dall’altra parte.
La motrice manda un fischio acuto e con uno strattone il convoglio riparte. Fra 20 minuti si scende.
Amurskaja oblast
Saluto la provodnitsa e mi aggrappo al corrimano mentre letteralmente mi calo dal treno lungo i ripidi gradini col peso dei due zaini addosso. So che non ci sarà nessuno ad attendermi, perchè non sapevo esattamente il giorno in cui sarei arrivato e al telefono non hopotuto specificare, indicando solo un generico fine settimana. Ecco, subito il treno riparte e mi trovo solo sulla banchina con una manciata di passeggeri scaricati qua. A destra e sinistra non si nota nessuna costruzione rilevante, intravedo solo casette di legno e stradine polverose. Ormai l’emozione ha raggiunto il culmine e dunque può solo afflosciarsi, come mi succede sempre in questi casi. Mi metto a sorridere, contento e curioso di sapere come me la caverò anche stavolta, mentre a piedi attraverso i 7-8 binari che mi dividono da quel caseggiato di un azzurro spento che è la stazione.
Adesso penso solo a come trovare una sistemazione al più presto, l’unica cosa da fare è andare all’indirizzo a cui solitamente invio le lettere dall’Italia ma temo che alle 10 del mattino tutti saranno al lavoro.
Nel “piazzale” (una specie di radura sterrata) esterno alla stazione tutti si dileguano e restano solo due uomini anziani a cui chiedere informazioni su dove si trovi la via in cui devo recarmi. Meno male che parlo un russo elementare se no ci sarebbe stato da ridere. Uno dei due si rivela essere un tassista e mi fa salire sulla sua auto. Inizia cosi un breve tragitto su strade sterrate e solcate da profondi canali che l’acqua scava quando piove, buche a destra e a manca e slalom tra bambini e mucche che scorazzano all’aperto.
Sono arrivato nell’Amurskaja Oblast (può tradursi con “regione dell’Amur”), un territorio grande circa come l’Italia ed estremamente selvaggio, al confine con la Cina lungo il corso del fiume Amur appunto. Dopo centinaia di sobbalzi mi viene indicato un condominio ai bordi della strada, mi devo fidare che sia quella giusta, non esiste modo di saperlo con certezza data la totale mancanza di cartelli stradali ad indicare il nome delle vie. Entro nell’atrio buio e malandato dell’edificio e suono all’appartamento dove dovrebbe abitare la famiglia che cerco. Nessuno risponde, logicamente tutti saranno fuori a quest’ora, penso, e me ne torno in taxi. Non resta che cercare un albergo dove riposarmi un po’, ma subito mi viene in mente spontanea la domanda “qui ci sarà un albergo?”. C’è. Uno solo ma c’è. Arrivo e capisco che non è esattamente come il grand hotel ma può andare. Sembra che le donne che dirigono questo posto non abbiano mai visto uno straniero da queste parti. Consegno il mio passaporto e non capiscono nemmeno da che parte guardarlo, non riescono a leggere nulla. Me la rido sotto i baffi. Dopo un momento di spiegazione riesco a far capire come mi chiamo e poi posso salire le scale fino al piano superiore dove la mia enorme stanza mi attende. La porta praticamente non si chiude, la chiave è solo un simbolo formale. In compenso non è per nulla male l’interno! Più che una camera d’albergo è un appartamento, spazioso e pulito, c’è anche la doccia. Subito ricevo la visita di quella che deve essere la padrona dell’albergo che mi dice che devo andare dalla polizia a farmi registrare, cerco di capire se si possa evitare (meglio non avere contatti con quegli infami degli sbirri in posti cosi isolati) ma la cosa mi si rivela subito impossibile. Riesco ad ottenere almeno di andarci dopo una doccia veloce. Scoprirò poi che l’altra signora presente, che faceva compagnia in silenzio alla prima citata, lavora proprio negli uffici della polizia, quindi sarebbe stato davvero impossibile sfuggire all’occhio della legge: appena arrivato mi hanno già individuato! Fortunatamente non avrò problemi, registrano il visto e basta. Però subito questa funzionaria mi chiede il motivo della mia visita in paese…cosa alquanto strana (deve esserci un motivo per scendere dal treno dove mi pare?). Me la cavo dicendo che sono qui per trovare degli amici, ma devo anche dire il loro nome, cognome e mi fanno riconoscere la foto della mia amica! Forse quest’ultima richiesta era però solo un modo per aiutarmi a trovarla, infatti dopo aver capito chicercavo addirittura le telefonano di propria iniziativa sul posto di lavoro (le telefonate urbane sono gratuite!!!) avvisandola del mio arrivo. Mi riaccompagnano in albergo dicendomi che a breve anche la mia amica Anastasia sarà li.Gran parte dell’emozione se n’è andata, ora sono solo un po’ teso per l’incontro faccia a faccia con una persona che ho sentito solo per lettera praticamente. Mi affaccio dopo un po’ dalla finestra della stanza e la vedo da basso. Scendo e ci abbracciamo, siamo tutti e due emozionati ma subito ci troviamo abbastanza a nostro agio, a parte il fatto che lei all’inizio parla troppo veloce per le mie capacità attuali. Immediatamente vengo investito da un vortice di proposte su cosa fare, cosa vedere, dove andare! Saliamo di sopra e subito sono invitato a ricompattare gli zaini e trasferirmi a casa sua (ho già pagato l’albergo, che sfiga!) come stabilito. Intanto Anastasia mi presenta anche il fratello ed un cugino, che mi aiuteranno a portare i miei zaini gonfi fino a casa. Quando entro sul pianerottolo al piano terra di un condominio, capisco che probabilmente il tassista di prima mi aveva portato chissà dove, perchè non riconosco la porta a cui avevo suonato in precedenza. Mi fanno sistemare nella stanza più grande di tutto l’appartamento, spaziosa e con una grande finestra pitturata di azzurro e lunga come tutta la parete. In salotto mi aspetta uno spuntitno di benvenuto con salame, tartine, vino, ravioli di carne, cioccolatini (fusi! si perchè fa cosi caldo che il cioccolato si è del tutto sciolto nella confezione). Apprezzo molto la loro ospitalità, iniziamo lentamente a parlare facendo discorsi che diventeranno via via sempre più complicati, grazie alla pratica che acquisirò stando qui una decina di giorni. Di fronte a me, sulla parete della sala, una carta da parati ricopre tutta la superficie con sopra stampata una bellissima fotografia del mare lungo una scogliera, la cosa è però buffa pensando che nessuno di loro ha mai visto davvero il mare! Il pomeriggio lo trascorriamo a Belogorsk, prima tappa del tour de force che mi verrà proposto in questi primi giorni. La cittadina non offre nulla di significativo, tuttavia non è male e passiamo un bel po’ di tempo ad un parco giochi con varie attrazioni, immerso nel verde. Come anche a Kabarovsk, le strade del centro sono decorate con le insegne per la “festa di compleanno” (S dnjom rozhdenija ljubimij gorod!) della città. Qui festeggiano l’anniversario della fondazione e pare una cosa sentita. La sera cena a base di ravioli con ripieno di carne (mangiano moltissima carne) a casa del simpatico cugino Andrej; per arrivarea piedi fino a casa sua verrò quasi divorato dalle zanzare e imparerò ad usare i pantaloni lunghi dal tramonto in poi.
E’ difficile descrivere questo luogo per chi non ha mai visto la campagna russa e i villaggi che la popolano. Certamente è molto diverso dall’Italia. Una calma irreale avvolge strade, viottoli, sentieri che si aprono attraverso piccoli boschetti che fanno parte integrante del paese, tra un gruppuscolo di abitazioni e l’altro. Non c’è in giro quasi nessuna persona, le auto poi praticamente non si incontrano. Le piante crescono dappertutto selvagge, a ridosso di case, strade, edifici pubblici; alcune di esse sono distese a terra sradicate da qualche forte tempesta e abbandonate a marcire al suolo. La caratteristica che sicuramente attira di più l’attenzione è, come detto, la tranquillità e la calma che regnano ovunque. Il silenzio è cosi prezioso, e qui abbonda.
A letto verso mezzanotte e sveglia puntata alle 4.30 ! Infatti il giorno seguente è in programma una gita a Blagoveschensk, che dista solo circa 130 km, ma da percorrere con un furgoncino-taxi su strade non proprio comode, quindi ci vorranno quasi 3 ore. Uno dei momenti più difficili della giornata è proprio al risveglio, quando devo trangugiare in fretta e furia una cotoletta (a colazione!) con il caffè e la pasta in bianco! Certo le mie abitudini a colazione sono nettamente diverse, ma va bene cosi.
La strada per Blagoveschensk, capoluogo della regione proprio al confine con la Cina, lungo il fiume Amur, non offre uno spettacolo molto avvincente: la solita pianura coperta di alberi, campi e zone più o meno paludose.
Giunti in città al mattino presto iniziamo passeggiare lungo il fiume, a riva e sulla strada di sopra. Già dal mattino si capisce quanto calda sarà la giornata, cosi’ penso ad un bagno rinfrescante nel primo pomeriggio.
Per la prima volta nella mia vita vedo la Cina: infatti il fiume divide due stati: di fronte a me il paese più popoloso del mondo, sulla riva dove invece sono ora si trova il paese più grande del mondo. Logicamente non possono essere visibili differenze nel paesaggio, si notano invece diversità nella struttura delle due città che si affacciano sullo stesso fiume, di là infatti sembrano esserci anche delle sorte di grattacieli di vetro, comunque si notano delle grosse costruzioni, la riva russa offre invece un aspetto meno appariscente sotto questo punto di vista.
La mattinata trascorre piacevolmente, anche se infuocata, e riusciamo anche a fare una piccola escursione un po’ a monte e a valle del fiume a bordo di un traghetto. E’ comunque vietato spostarsi sull’altra sponda, al massimo si può navigare in mezzo al fiume, ma senza “sconfinare”. La stessa cosa vale per i cinesi che ci salutano,ammassati su una motonave che sta facendo il nostro stesso tragitto, dall’altra parte. Passiamo di fianco ad una grossa industria cinese che sputa di continuo “qualcosa” nel fiume attraverso degli scarichi che danno appunto sull’acqua. Intorno a mezzogiorno è piena canicola. Non ci sono molti posti all’ombra dove ripararsi, cosi mangiamo una cosa veloce sotto il sole seduti sul bordo di una fontana zeppa di bambini che ci giocano dentro. Si capisce al volo che l’Anastasia soffre più di me il caldo, ha anche le braccia ed il viso completamente arrossati adesso, cosi propongo di andarcene sotto qualche albero all’ombra, ma sedersi nell’erba sotto le piante pare essere una cosa assolutamente insolita e stravagante per i russi e quindi non si può trovare refrigerio nemmeno cosi. Allora non resta che il fiume, sarà pure inquinato ma devo bagnarmi! Dopo un veloce giro alla ricerca di un costumeche non ho mi tuffo nelle acque verdi e opache dell’ Amur. La corrente è fortissima e nuotarle contro si rivela impossibile: per quanto mi sforzi al massimo riesco a stare fermo nello stesso punto! Purtroppo nel fiume perdo il mio orologio che ormai avevo da 7 anni, regalo dei miei amici, nulla di speciale, ma ci ero affezionato. Mi è scivolato subito in acqua dalle tasche, a causa della forza della corrente.
A metà pomeriggio dobbiamo tornare, il treno ci metterà 3 ore e mezza per 130 km….ma il viaggio è stato divertentissimo, passato a raccontarci barzellette russe e italiane con tutte le incomprensioni derivanti dalla lingua.
Negli altri giorni di permanenza a Seryshevo posso sperimentare dal di dentro la vita di questa zona della Russia, sicuramente diversa da come si vive a Mosca o S.Pietroburgo, anche se naturalmente la cultura di fondo è la stessa. Un altro giorno sarà dedicato alla visita di Svobodnyj, città piena di studenti durante l’anno, ma vuota nei mesi estivi e soprattutto, secondo il mio giudizio, orribile insieme di grigi palazzi e veri e propri ruderi abbandonati. Invece all’Anastasia piace, è la città dove studia e in cui le piacerebbe vivere. Personalmente preferisco il suo piccolo paese.
Passeggio tantissimo per le strade della cittadina dove sono ospite, visito anche il museo storico-naturale, ben realizzato per essere in un posto cosi sperduto. Ci sono anche le foto di tutti i caduti del paese per le guerre, compresa quella in Cecenia, una stanza dedicata alle stragi in pratica. Pian piano conoscerò quasi tutta la famiglia, zie, zii, cugini, cugine, amici; una zia particolarmente simpatica ogni volta che mi incontra mi saluta calorosamente e mi tratta quasi come se fossi suo figlio, mi offre il latte appena munto dalla mucca e parla sempre di tutto, un po’ troppo velocemente per me però!
La sera ogni quasi sempre usciamo a bere qualcosa nei mitici “kafè”, che in teoria sarebbero come dei nostri pub o disco-pub, ma che non c’entrano nulla, a me piacciono un sacco, hanno un’aria strana, pura, semplice e selvaggia, immersi tra le piante nel buio, con le luci colorate e stroboscopiche che li fanno sembrare come delle astronavi luminescenti visibili da molto lontano e quasi collegate da una specie di rete invisibile che li unisce mantenendo inalterate certe caratteristiche. Unpo’ sembra la conclusione della street parade a Bologna nel parco di villa Angeletti dietro la stazione centrale…ma solo un po’ eh! Tra i sentierini che collegano strade e locali si brancola letteralmente nel buio, per fortuna ho un accendino che si rivela utilissimo; a volte ci si imbatte nei corpi immobili di ragazzi ubriachi fradici che semplicemente cadono nei prati e restano li chissà quanto…magari vegliati da una ragazza volenterosa. Sedersi nel locale più ricercato è impresa pressochè impossibile dopo una certa ora, infatti anche alcune panche di legno e tavoli appaiono vuoti in realtà sono tenuti occupati da qualcuno che li sorveglia per gli amici e con fare non proprio amichevole invita chi si avvicina ad andarsene. Bisogna tenere presente che in questo paese c’è una forte presenza di militari, penso ci sia una caserma, quindi la sera sicuramente gruppi di ragazzi gireranno per il paese a fare baldoria. Tornando da uno di questi pub una sera mi fermo nell’ampio cortile esterno alla casa dove dormo e ammiro il cielo stellato come mai l’avevo visto! Non so niente di stelle ma qui riesco a distinguere benissimo l’orsa maggiore (quella di Kenshiro no?), si vede in un modo a dir poco folgorante! Certo qui non c’è l’inquinamento luminoso come da noi e nemmeno quello atmosferico che rende opaca l’atmosfera, che spettacolo! Per muoversi in paese quasi sempre si deve attraversare, di giorno e di notte, a piedi la massicciata della ferrovia transiberiana, mai avrei pensato nella mia vita che mi sarei trovato un giorno qui, a 7800 km da Mosca ad attraversare a piedi 7-8 binari guardando da lontano un treno merci che lentamente si avvicina fischiando. Questi treni merci sono cosi lunghi che le persone, se ne vedono uno anche molto vicino, si precipitano sui binari per passare dall’altra parte prima che sopraggiunga il convoglio, altrimenti si rischia di restare bloccati per parecchi minuti da un lato della ferrovia.
In paese ci sono alcuni mercati gestiti da cinesi, vendono di tutto, ma i russi non apprezzano molto i loro prodotti, che hanno fama di durare poco nel tempo, l’unica cosa decente penso siano i prezzi. Quando giro per la strada, per mercati, per negozietti, ogni tanto noto che le persone mi osservano, capirò perchè recandomi per l’ultima volta dalla polizia a pagare un tassa ridicola per la mia permanenza qui e a consegnare una foto tessera: da quanto ne so sono il primo italiano in assoluto nella storia a visitare questo paese!!! Wow! Alla faccia della globalizzazione! Mi dicono che qui a parte i cinesi, di stranieri hanno visto solo degli americani venuti non ho capito bene quando (sicuramente dopo il ‘ 91), che hanno formato una setta religiosa e poi sono scomparsi nei boschi. Inquietante. Anche in stazione, quando farò il biglietto per andarmene, la cassiera si mette le mani nei capelli non riuscendo a leggere il mio passaporto.
A casa la vita, dopo i primi giorni irrequieti, scorre più tranquilla, si passa un numero incredibile di ore a cucinare, verrò coinvolto anch’io in questa attività cucinando un piatto di spaghetti non proprio eccezionali ma che riscuotono un discreto successo. Il piatto forte è la carne, quasi sempre cucinata avvolta in una specie di raviolone gigante, un po’ aperto in cima, con all’interno un impasto di cipolle e carne, verdure e carne…carne, carne…
Sono gentilissimi con me, cercano di capire al volo le mie esigenze e di assecondarle per quanto possibile.
Rimanendo in tema culinario si rivelano buonissimi dei ravioli (sempre loro!) ripieni di ribes e altri frutti di bosco asprissimi, scaldati e addolciti con cucchiai e cucchiai di zucchero.
Poco distante dal condominio in cui mi trovo c’è la dacia della famiglia, dove abita la mamma d’estate. Per arrivarci si passa attraverso un quartiere dove la gente vive molto male, per stessa ammissione di chi mi accompagna; ci sono per strada delle pompe da cui a mano si estrae l’acqua, quindi nel momento in cui si ha bisogno d’acqua si deve uscire in strada a prenderla, perchè nelle case non c’è. Le abitazioni stesse sono decadenti e rovinate, con assi di legno marci e pericolanti. Poco più in là molti hanno la casetta di legno (dacia) dove passano i mesi più caldi; in quella della mia amica c’è anche un terreno abbastanza vasto coltivato con ortaggi vari. Sembra uno scenario d’altri tempi, molto affascinante, ma pieno di zanzare la sera! Al centro dell’ “orto” si trova il banya, espressione di una forte tradizione russa. Si tratta di una piccola casupola di legno, di all’incirca 2 m per 3, che funge da sauna-bagno. Proverò anche questa esperienza, che per merisulta un pochino strana e faticosa, data la temperatura assurda interna. Funziona cosi: una stufa si scalda all’inverosimile in un ambiente piccolissimo e un recipiente di acqua bollente si trova proprio incorporato alla stufa (una specie di vasca, da cui attingere acqua caldissima). In più ci sono secchi di acqua fredda, da mischiare a quella bollente e da rovesciarsi quindi addosso con una ciotola. Intanto si suda in maniera impressionante, la temperatura deve essere altissima, infatti è vietato entrare a chi ha problemi di cuore. Ci si lava e risciacqua un sacco di volte, poi ci si può anche percuotere schiena e petto con delle frasche di betulla che tonificano e puliscono la pelle. Dentro a questa casetta di legno che pare una palla di fuoco mi alieno con la mente, pensando al fatto che mi trovo a nord della Cina, in mezzo a lande praticamente disabitate in uno sgabuzzino di legno incandescente come una fornace, mi sto divertendo troppo! Quando esco la temperatura esterna mi sembra piacevolmente fresca!
La domenica è dedicata ad una gita fuori porta con pic-nic presso uno stagno dove si radunano parecchie persone a fare il bagno.
L’acqua è verde scuro e sotto i piedi si sente uno spesso strato di morbide alghe che accarezzano la pelle.
Nell’erba alta mangiamo ciò che abbiamo portato da casa, una sorta di insalsata di riso e stuzzichini vari; il problema è la moltitudine di insetti che mi assalgono, da tutte le parti. Essendo in costume ho la pelle praticamente tutta scoperta e queste fastidiose bestiole banchettano assieme a me, con il mio sangue. Oltre a zanzare di varie dimensioni ci sono tafani, vespe e altri insetti verdi e grossi come un dito, che non ho mai visto e che sono particolarmente cattivi e insistenti. L’unica soluzione è mangiare in fretta e rituffarsi in acqua subito.
Uno degli ultimi giorni mi portano ad ammirare un panorama stupendo che lascia a bocca aperta. Circa 50 km a sud est si può ammirare, sopra ad un dirupo scosceso, una vista eccezionale della regione dell’Amur, alberi e prati a perdita d’occhio di un verde intenso, illuminato dalla luce del sole, tra cui pigramente si apre un percorso, con varie anse, il fiume blu Tom. I colori sono fantastici e ne approfitto per scattare un po ‘ di foto. Non si vede una casa o un paese fino all’orizzonte.
Velocemente purtroppo i giorni passano e arriva anche il momento della partenza, sia io che l’Anastasia sappiamo che chissà quando ci rivedremo, e il tragitto in stazione alle 2 di notte per prendere il treno verso Ulan-Udè è caratterizzato dal silenzio e da un velo di tristezza. Salgo sul vagone e mi giro per l’ultimo saluto a fratello e sorella che mi hanno cosi bene accolto ed ospitato, non riesco a dire null’altro che “Ciao” e subito la provodnitsa sbatte con forza lo sportello di metallo separando i nostri sguardi. Do vstreci.
Sulla transiberiana
Mi dirigo subito verso il mio scompartimento, già occupato da altri due signori, a cui si unirà anche un ragazzo salito assieme a me. Sono le 2 di notte, sono ancora emozionato per aver dovuto dare l’addio ai miei amici, ho sonno e quindi non posso fare altro che sistemarmi nella cuccetta a me assegnata per cercare di riposarmi. Dormire veramente sarà quasi impossibile, visto che a causa della mia statura ho la testa dolcemente appoggiata sulla catena di ferro che sostiene il mio letto (che è quello superiore) e le gambe piegate a metà per provare ad incastrarle in qualche modo in fondo.
La mia meta ora è Ulan-Udè, capoluogo della repubblica dei Buriati, a sud del lago Bajkal. Mi attendono circa 40 ore di treno.
Il giorno dopo passeranno alcune ore prima che il signore sotto di me, Valentin, tifoso dello Spartak Mosca, capisca che non sono russo, infatti non ci credeva all’inizio.
Una volta rivelatasi la mia identità italiana inizia il solito show condito dalle varie citazioni su: del piero, totti, Celentano, berlusconi e compagnia bella. Come tutti i russi anche Valentin ed il ragazzo salito con me la notte prima si dimostrano interessati alla guida sul loro paese e la sfogliano più volte, anche se non capiscono nulla al di là delle figure, poichè è scritta in inglese. L’altro uomo che va e viene dallo scompartimento è enigmatico e taciturno, ha una cicatrice enorme sulla testa e dei muscoli sviluppati, meglio non infastidirlo. Con gli altri invece in breve diventiamo amici, continuano a parlare a più non posso e a volte mi servirebbe una pausa per far riposare il cervello, ma loro continuano. Il paesaggio esterno è, come al solito, un susseguirsi di foreste di conifere e di monotoni bassipiani fino al momento in cui scollineremo la Cina (cioè passeremo nel punto più a nord del confine russo-cinese). Dopo la seconda notte in treno, però, il panorama diventerà più vivace, con ampie vedute dell’orizzonte su cui si stagliano montagne dalla fisionomia irregolare e colline con pendii più dolci. A volte il treno compie soste interminabili, fermo in luoghi isolati, in attesa di far transitare file e file di vagoni merci che per la quasi totalità trasportano petrolio, che costituisce una larghissima fetta delle esportazioni russe e dunque ha la precedenza sui treni carichi di persone! Poi molto lentamente si riparte, sempre con uno strattone cosi violento da farmi quasi cadere dall’alto della mia cuccetta, se non mi tenessi ancorato, evidentemente la massa di carrozze è molto pesante da trainare per la motrice.
In questa zona si nota, rispetto al tratto della transiberiana tra Mosca e Irkutsk, che la presenza di insediamenti umani è notevolmente minore, e quelli che ci sono appaiono malandati e sperduti; se non ci fosse la ferrovia a vivacizzare l’atmosfera ogni tanto con il passaggio di un convoglio, la vita scorrerebbe davvero sempre uguale, penso.
Fabbriche annerite dal fumo delle ciminiere e semi-abbandonate costituiscono, a volte, la periferia di paesi di case tutte realizzate in legno e ammassate irregolarmente tra la ferrovia e le colline. Cosi trascorrono le ore fino alla stazione di Chita, mitica località conosciuta solo da quanti hanno giocato qualche volta a risiko! (da il nome ad un territorio del tabellone). La città è la più grande a ovest dopo Kabarovsk, ma si trova a migliaia di km di distanza! Qui la maggior parte della gente ha caratteri somatici mongoli o cinesi, parte da qui anche una linea ferroviaria che, tagliando per la Manciuria, arriva anch’essa a Vladivostok. A Chita sale un cinese che commercia in Russia e subito attrae l’attenzione di Valentin, che inizia a fargli un mucchio di domande, ma lui non parla in russo e quindi…devo intervenire io! Infatti Valentin, pur di “intervistare” il cinese, mi obbliga a tradurre dal russo all’inglese (parlato dall’uomo dagli occhi a mandorla) e poi dall’inglese al russo per saziare la sua voglia di risposte. La cosa va avanti per centinaia di km e contribuisce a devastarmi psicologicamente, infatti faccio una fatica bestiale a cambiare lingua cosi al momento, oltretutto il russo lo mastico molto poco.
Ormai non manca tanto all’arrivo a Ulan-Udè, Valentin riesce anche a farmi divertire con la solita domanda, chiedendomi perchè viaggio da solo e se non ho paura a girare solo per Ulan-Udè…Di cosa e di chi dovrei aver paura? gli rispondo. Se gli raccontassi alcune cose che ho visto in Europa capirebbe perchè non posso aver paura e comunque “l’aver paura” è una sensazione che non ha significato di esistere, è solo un qualcosa che ci viene continuamente instillato dall’alto (tipico esempio da noi: mettiamo le telecamere a sorvegliare le città, c’è gente pericolosa in giro!) ma che nella pratica ha poche volte ragione di esistere davvero. Lui non capisce e poco dopo il treno rallenta, saluto tutti i miei compagni di viaggio e scendo alla stazione di Ulan-Udè.
Ulan-Udè
Questo è il capoluogo della repubblica dei Buriati, popolazione di stirpe mongola rimasta intrappolata entro i confini russi attorno alla zona del Bajkal. Appena sceso cerco un tassista economico e mi faccio portare all’hotel migliore della città, dove ho letto che però lecamere non sono care. Fantasia. Alla reception mi sparano una cifra assurda e allora giro a piedi per la città per altri due alberghi, uno è pieno, l’altro mi ospita, costa poco ed è anche perfetto. questa è una città turistica, base per varie escursioni al Bajkal e dintorni, dove ci sono parchi naturali. L’agglomerato urbano è come diviso in due: da una parte del fiume Uda si trova la vecchia città, con costruzioni in legno e catapecchie
varie, stradine in sterrato; dall’altra sorge la città moderna, di impronta sovietica, grandi strade, grandi spazi e palazzi. Nel centro della piazza principale si erge seria e maestosa la testa di Lenin più grossa del mondo, circa 5 metri di altezza. Penso sia rimasta anche come attrattiva turistica. Dal dodicesimo piano dell’hotel in cui si trova la mia camera godo di una vista proprio sulla piazza e dunque vedo anche dall’alto quell’enorme testone. Questa sosta mi permette di riposare un po’ decentemente dopo il viaggio in treno, di visitare a grandi linee la città, ma soprattutto voglio vedere il tempio buddista più importante della zona che si trova circa venti km fuori città.
Fuori dall’albergo, frequentato da molti turisti, una decina di bambini e bambine piccoli, sporchi, mal vestiti e magrissimi chiedono l’elemosina per mangiare qualcosa. Anche quando piove sostano all’aperto con addosso solo una maglietta, fradicia, e tremano dal freddo (se piove la temperatura si abbassa notevolmente). Non hanno molta fortuna, quasi nessuno da loro ascolto, ma continuano a giocare e rincorrersi per strada sorridendo da visi già segnati alla loro tenera età.
Sotto l’albergo inizia la via principale, che qualche centinaio di metri dopo diventa pedonale e molto ben curata anche nei dettagli: lampioni nuovi e dorati, negozi di scarpe italiane ai lati della strada, casino (?), banche e boutique varie. Deve essere la via dello shopping per i più ricchi o per turisti ricchi, comunque è l’unica strada cosi, le altre rispettano i canoni classici della zona (marciapiedi rotti, tombini pericolanti, piante che crescono ovunque, fango, pozzanghere, asfalto rovinato).
La parte urbana antica non pare interessante, è desolata e come abbandonata a sè stessa; quella moderna non riesco a visitarla bene per mancanza di tempo, ma è costellata da grossi edifici pubblici e da musei, larghe vie di comunicazione.
L’aspetto più strano sono le nuvole che ininterrottamente scorrono nel cielo, nere, plumbee, minacciose, ma che non versano mai una goccia di pioggia (a parte l’ultimo giorno, quando si sfogheranno tutte in una volta).
E’ impressionante la velocità con cui arrivano e sorvolano la città, subito seguite da altre uguali, per tutto il giorno. Probabilmente forti correnti d’aria le sospingono dal Bajkal, pochi km più a nord, per spostarle verso la Mongolia.
Il secondo giorno di permanenza qui è dedicato alla visita al tempio buddista. Come detto in questa regione sono fortissime le influenze e le tradizioni mongole e asiatiche, e la presenza del buddismo lo testimonia. Mi dirigo, un po’ a caso, con un minibus fuori città, fino alla fermata in cui mi dicono di scendere e salire su un taxi li vicino per farmi portare a destinazione. Con me ci sono alcuni fedeli, che andranno per pregare o assistere alla cerimonia dei monaci. Appena fuori città il paesaggio diventa bellissimo e selvaggio, pochi paesini minuscoli, steppe sconfinate e colline che via via diventano montagne sullo sfondo. Osservare i prati di erba alta e verdissima che si estendono, salendo sui pendii, fino a confondersi sulla linea dell’orizzonte con il colore intenso del cielo, mi ricorda certi paesaggi nostrani di montagna, ad alta quota. In mezzo a questa sconfinata campagna si nota subito spiccare la costruzione del tempio, con le tipiche pagode dipinte di giallo sulla sommità, e il piccolo villaggio costruito con lo stesso stile all’interno di un perimetro recintato. Fuori dal perimetro il nulla. Se non sapessi di essere in Russia, quasi opterei per il Tibet. Il paesaggio è mozzafiato. Un silenzio costante, interrotto solo dalle raffiche di vento, costituisce la degna cornice di tutto ciò.
Mi addentro con rispetto all’interno del perimetro che delimita questa sorta di villaggio buddista, inizio a scattare foto qua e là. Ci sono tante costruzioni oltre al tempio, probabilmente dove vivono i monaci; lungo i lati più esterni verso il recinto si snoda, partendo dal grande tempio, un percorso con le varie “ruote” rosse con le scritte gialle da girare per le preghiere, tante e di diversa grandezza, sugli alberi sono appese le pezze che rappresentano le preghiere, straccetti votivi colorati. Arrivo all’ingresso del tempio e appare abbastanza maestoso. Una cupola piramidale color giallo e oro si staglia al cielo, il resto è dipinto di azzurro intenso e le colonne che sostengono il portico d’ingresso sono rosse, l’accostamento cromatico è stupendo. Sono un po’ timoroso, non so se si possono fare foto, ma nessuno mi dice nulla, perciò scatto. Davanti alla scalinata di accesso al portico a destra e sinistra due specie di statue, pitturate e raffiguranti due tigri, sono come poste a guardia del luogo sacro.
Dopo una sosta ad ammirare il complesso ed il paesaggio circostante decido di entrare finalmente nel tempio, da cui provengono i suoni e le “cantilene” dei monaci che stanno officiando una cerimonia. L’impatto è entusiasmante. Mi siedo su una panca addossata al muro laterale con altri fedeli. Dentro il tempio è pieno di colori: bianco, verde, rosso, giallo, blu sono quelli dei festoni pendenti dal soffitto e poi le colonne interne sono a sfondo rosso e decorate con draghi d’oro e delle specie di nuvolette di colori sfumati. Nella “navata” (non so come dire altrimenti!) centrale si trova un enorme buddha dietro una teca di vetro e ai lati altre decine di buddha in vari colori e posizioni. Il soffitto èornato da specie di arazzi e da un’infinità di stoffe colorate. Queste stoffe costituiscono una quadrato grande alcentro del soffitto del tempio, quadratini colorati più piccoli ai lati. Durante la cerimonia di preghiera 2 piccioni entrano nel tempio ed un monaco ha il suo da fare per scacciarli. I monaci, con tonaca amaranto e alcuni con una cintura colorata, stanno seduti al centro della costruzione su delle panche, sembra che ripetano assieme delle formule, ma non capisco se all’unisono oppure sfalzati o se proprio invece dicono cose diverse. E’ molto rilassante ascoltare questa continua cadenza della voce costantemente ripetuta allo stesso tono da più persone. Sfogliano dei piccoli foglietti e ogni tanto con uno strumento a fiato, dei piatti e 2 tamburi emettono dei suoni che interrompono le loro litanie perpetue. Poi bevono una tazza di the bollente di colore marrone chiaro. Dopo quasi 2 ore così sto entrando in trance, per cui decido di uscire e tornare in città, sarà l’ultima notte di permanenza qui, domani parto per Irkutsk.
Sulla transiberiana
Il giorno della partenza piove a dirotto, non ho la camera di albergo e sono senza soldi, quindi trascorro 6 ore in stazione in attesa del treno, almeno non mi bagno.
Finalmente arriva l’ora in cui posso infilarmi nella familiare cuccetta dove passerò 10 ore prima di arrivare, la mattina seguente, a Irkutsk. Con me c’è una ragazza che parla inglese e pare abbastanza acculturata, dice che appena finito di studiare vuole andarsene dalla Russia per lavorare in Europa, qua non si trova bene con la mentalità russa. Parliamo un po’ prima di addormentarci, poi quando riaprirò gli occhi mi troverò nella mitica nebbia che staziona intorno a Irkutsk. La mattina infatti d’estate, causa l’enorme quantità d’acqua che vi è in questa zona e gli sbalzi della temperatura estiva, si forma una spessa coltre di nebbia che causa ritardi maestosi all’aeroporto.
Oggi è uno di quei giorni. Resterò in stazione un po’ di tempo a riposarmi, poi a piedi andrò dall’altra parte della città, che ormai conosco bene, ad un hotel che mi ha consigliato la mia amica dell’agenzia proprio a Irkutsk.
Il Bajkal
Mi manca ancora un solo giorno pieno di vacanza, poi sarò sempre in aeroporto a Irkutsk o Mosca per i vari voli fino a Milano, e decido di sfruttarlo visitando un’altra località sul Bajkal, più vicina a Irkutsk rispetto all’isola di Olkhon dell’anno scorso, ma comunque meritevole di essere vista, come tutte le coste del lago, almeno cosi dicono.
Il mio hotel dalla stanza piccolissima, tipo 2,5 m per 2,5 m, è situato vicino alla stazione dei pullman e questo è un vantaggio, cosi posso alzarmi anche solo 10 minuti prima l’indomani quando prenderò il mezzo per Listvijanka, la cittadina sul lago che intendo vedere. Tuttoil resto però è negativo nell’albergo: si trova infatti in linea con la pista di atterraggio dell’aeroporto in cui decine di aerei al giorno arrivano, è al piano superiore
di un disco-pub che va avanti a far baldoria fino alle 2 di notte e si affaccia su una strada trafficatissima con conseguente rumore infernale. Dormirò pochissimo.
Prendo il pullman alle 9 circa del mattino, ho già acquistato per sicurezza il biglietto il giorno prima, ma non c’è nessun controllo nè prima di salire nè durante la corsa. L’autobus è lentissimo, oltre ad essere un vecchio lamierone è stipato all’inverosimile; infatti alla partenza è pieno in ogni ordine di posti ed in più lungo la strada raccoglie le persone alle fermate, facendole accomodare…nel corridoio! Arriviamo che si scoppia. Da Irkutsk sono circa 60 km di strada statale dritta e ben asfaltata, però con alcuni sali scendi significativi che il nostro lamierone a stento riesce a superare, alcune volte avrei giurato che non ce l’avrebbe fatta in salita.
All’arrivo la pluri-citata nelle guide Listvijanka mi appare per quello che è: un povero villaggio di pescatori, senza nessuna pretesa. alcune abitazioni sono ammassate sulla riva del lago, altre più all’interno, lungo i pendii di una collina, tutte rigorosamente in legno. A parte alcune ville in muratura, decorate e curate fin nei dettagli, appartenenti a chissà chi, il resto è modesto e,anche se si capisce che qui passano un bel po’ di turisti, non si è ancora sviluppato nulla di più che qualcheristorante e bar sul lungo lago. Anche se so che ci sono dei locali notturni da qualche parte, ma non riesco ad immaginarmeli.
La giornata è stupenda, il sole splende sul lago e la temperatura è ottima, i colori vanno dal blu intenso dell’acqua al verde delle colline all’azzurro del cielo. Nel centro del paesino, di fianco al porticciolo, si estende un mercato all’aperto di souvenir e e prodotti alimentari. A farla da padrone è l’omul, il pesce essiccato o crudo che viene cucinato qui al momento alla griglia. La caratteristica principale di tutto questo mercato è infatti il fumo che esce dalle griglie, cosi tante che è visibile anche a centinaia di metri di distanza, ma soprattutto l’odore di fumo misto a pesce che rimane addosso ai vestiti e ai capelli anche al primo passaggio tra le bancarelle. Si trovano un sacco di oggetti interessanti, che però non sono proprio cosi a buon mercato e questo rende l’idea di quanti turisti passino da qui. Compro un paio di bicchieri di agata, il minerale opaco con tutte quelle strisce di roccia colorata e limata fino a darle la forma di un bicchiere. Ci sono dei set di bicchieri bellissimi, ma ho pochissimi soldi e devo contrattare per farmene dare soltanto due. All’arrivo in Italia i bicchieri puzzeranno ancora di quell’odore intenso di fumo.
Dedico la giornata ad un’escursione tra i pendii che sovrastano il lago, per cercare di arrivare in alto e osservare meglio un panorama più vasto del lago stesso. Sembra il mare, anche se in fondo in fondo si può scorgere il profilo delle montagne dell’altra costa, verso Ulan-Udè. Mi reco sempre a piedi fino al punto in cui nasce l’Angara, unico emissario del Bajkal, affluente dello Enisej molte centinaia di km più a valle.
L’atmosfera è di rilassamento totale, sembra che anche la natura abbia compreso che sono alla fine della vacanza e ho bisogno di riposare, mi stendo nell’erba di un colle e guardo il lago per un bel po’, poi torno a Irkutsk e scrivo via mail a casa l’orario più o meno del mio ritorno.