Dopo 10 anni di negoziati, e nonostante le smentite lanciate dai media anglosassoni, oggi Russia e Cina hanno firmato un insieme di 30 accordi di cooperazione che toccano settori come l’armamento e la ricerca spaziale, l’energia come il commercio, la sicurezza come lo sviluppo economico, la ricerca scientifica (in particolare chimica fine e farmaceutica) come i trasporti terrestri e aerei. Risuonano ancora le parole di Henri Kissinger che già trent’anni fa ammoniva l’amministrazione americana che un “avvicinamento sino-russo era contrario agli interessi strategici americani” (si veda l’articolo di Mark Adomanis).

 

Ebbene, dopo una serie di (poco) intelligenti provocazioni occidentali – allargamento della Nato, bombardamento della Nato a Belgrado distruggendo l’ambasciata cinese, rivoluzioni colorate e primavere varie, guerre in Libia e Siria, e l’insistente accerchiamento americano della Cina nell’area Asia-Pacifico – è stata l’assurda persecuzione sanzionatoria che Obama ha dovuto imporre alla Russia sul caso Ucraina che ha convinto Russia e Cina a spostare l’asse del baricentro eurasiatico dall’Europa (Mosca) all’Asia (Pechino). Come ha scritto Dimitri Trenin, direttore del Carnegie Russia, avevano ragione i liberali russi che già sollecitavano negli anni ’90 lo sviluppo di un’Eurasia da Lisbona a Pechino. Gli errori occidentali, e quelli paradossali dell’Ue, scrive ancora Trenin, hanno reso possibile la realizzazione non del piano russo – visto che l’Eurasia ha perso l’Europa (per ora) – ma di quello cinese che era stato esplicitato in numerosi saggi con il nome della “nuova via della seta”. Quest’ultimo è una vasta rete di “connessioni” terrestri tra la Cina e l’estremo oriente siberiano e l’Asia centrale. In questo modo, il blocco navale americano nel pacifico e nel Golfo è aggirato via terra con percorsi su territori di paesi “amici” (si vedano le immagini in coda a quest’articolo).

 

La rilevanza di questi accordi russo-cinesi non è solo nel volume dell’accordo di fornitura di gas – che copre circa il 10% del fabbisogno cinese o nel suo valore economico, 400 miliardi di dollari, che è circa il 20% dei contratti di Gazprom con l’Europa – ma nelle prospettive di sviluppo dell’asse Mosca-Pechino al quale questi accordi prelude. Ancora non sono noti (e chissà quando lo saranno) i dettagli degli accordi, ma sembra abbastanza certo che tra i passi successivi ci sarà anche la possibilità di commerciare tra i due paesi su piattaforme finanziarie indipendenti dal dollaro e dall’euro. Il vero effetto geopolitico sarà proprio questo: l’inizio della fine della dominanza finanziaria e monetaria occidentale sul resto del mondo. D’altra parte, sono anni che la Cina chiede una profonda revisione della governance mondiale con la finalità di renderla “meno iniqua” (anche Papa Francesco ha usato queste parole nella sua Gaudium Evengelii). La de-dollarizzazione del mondo potrebbe essere solo all’inizio.

 

Riassumendo, oggi emerge un insieme geopolitico e geoeconomico (e forse geofinanziario) che raggruppa l’Eurasia (senza l’Europa) e la Cina. L’india del neoeletto presidente Modi ha già dato indicazioni di voler stemperare gli attriti e massimizzare il ritorno economico con tutti i partner che contano (sull’Ue, complice il “caso marò”, non ha dato indicazioni). Quindi visto l’incremento delle relazioni commerciali e strategiche tra India e Russia è probabile che presto sarà accolta con favore la domanda di piena membership dell’India nella Schanghai Cooperation Organization (Sco). Mentre la “nuova Eurasia” sia allarga, come ha scritto Giulio Sapelli su questo giornale, “l’Ue suona il violino sul Titanic che affonda” senza una qualsivoglia visione strategica, e “l’Italia rischia il declino definitivo per il blocco del canale di Suez” (attraverso il quale viaggia la maggioranza del suo import/export, e la quasi totalità del petrolio). In verità, solo la Germania ha preso atto di questa situazione. Dopo essersi opposta alle sanzioni anti-russe, non è un caso, infatti, che il commissario tedesco con delega Ue all’energia abbia siglato pochi giorni fa a Berlino un accordo con il suo omologo russo per continuare la fornitura di gas all’Europa via Ucraina. Quest’ultima, fatte le (inutili e pericolose) elezioni sarà chiamata il 26 maggio, sempre a Berlino, a siglare i termini dell’accordo.

 

Visto dagli Stati Uniti questo scenario è tra i più nefasti: a) si sta realizzando sotto i loro occhi la vendetta di Mackinder con il doppio controllo del cuore della massa terrestre (heartland) ad opera di Germania, Russia e Cina; b) il Mediterraneo sta velocemente diventando un campo di battaglia e di morte con la possibile recrudescenza dell’estremismo politico-religioso e il ritorno delle “dittatocrazie” nei paesi arabi; c) complice l’insipienza del terzo governo autocratico in Italia (e della stupidità di quello francese), la politica deflazionistica della Germania merkeliana sta mettendo a serio rischio la conclusione del partenariato di libero scambio transatlantico (Ttip). Quest’ultimo è per gli americani, e quindi per gli europei, l’ultima possibilità di bilanciare il resto del mondo. Obama sa bene che con Ttip potrà andare a parlare a russi e cinesi, ma senza di esso l’Europa si avvierà su un declivio in stile argentino e gli Usa non avranno la forza di intervenire né in Europa né nel Mediterraneo. Le elezioni di mid-term americane (novembre), ben più di quelle europee (25 maggio), rischiano di azzoppare definitivamente Obama spingendo gli Usa verso due possibili strategie: progressivo isolazionismo, lasciando l’Europa al suo destino; interventismo con una contrapposizione frontale alla Russia. Le anime trasversali della politica profonda americana rendono possibili entrambe le direzioni, anche simultaneamente.

 

Esclusa un’aggressione militare diretta alla Cina (perché troppo impegnativa e non conveniente sul piano finanziario) si continuerà l’accerchiamento, sapendo che per qualche anno Pechino non si lancerà in attività militari significative e men che meno fuori area. Invece, l’anello debole è la Russia che non può permettersi (e non vuole) uno scontro militare con l’Occidente. Anche gli americani non possono permettersi un tale scontro. Ecco quindi che sarà l’Ue a diventare il possibile teatro dello scontro che si svilupperà per interposte persone. A tal proposito Grillo, Farage e la Le Pen (solo per citare i più significativi euro contestatori), ma anche tutti gli altri frastagliati estremisti di sinistra e di destra saranno gli utili grimaldelli per scatenare la divisione dell’Europa. Il primo grande test si farà in Italia, tra pochi giorni. I capitali europei troveranno “facile rifugio” nel dollaro, a tutto vantaggio degli Usa. In pratica, se non si accetta “volontariamente” il Ttip lo si subirà nei fatti. Il gas russo sarà progressivamente sostituito da quello liquefatto americano, e la Russia perderà una fetta considerevole di riserve in dollari e euro.

 

Non si può non chiudere con un accenno alla “farsa Italia” che in un clima di indecenti scontri verbali tra i principali esponenti politici ci si avvia a delle “brutte” elezioni europee. Risalta che anche il capo del governo non ha resistito all’imbarbarimento linguistico-culturale. Dalla Svizzera, il capo dello Stato fa sapere che la dialettica è segno di una vivace democrazia e che, comunque vada, le elezioni riguardano l’Europa e non il suo terzo governo autocefalo che andrà comunque avanti. Sulle gravi questioni internazionali e sui rischi diretti per l’Italia, il massimo che abbiamo sentito dal governo sono appelli salvifici per “continuare il processo di democraticizzazione in Libia” (ma quando mai è iniziato?) oppure la richiesta di “intervento dell’Onu”. Le dichiarazioni di Renzi alla rivista Vita non lascano dubbi sulla sua competenza di statista: “Le organizzazioni internazionali che ci stanno a fare in Libia? Mettiamo l’organizzazione dell’Onu per i rifugiati a fare i campi profughi sulle coste libiche o no? Secondo me sì”. Anticipando la posizione italiana per il G7 di giugno, Renzi ha detto: “Il modo con cui l’Europa si occupa della Libia è sotto gli occhi di tutti… manderà inviati speciali dei singoli Paesi e lo faremo anche noi. Ma poi qual è l’idea dell’Ue?”