Intervista a Paolo Raffone, fondatore della CIPI
Bruxelles – Il Parlamento europeo è “una costosa istituzione che non riesce ad esprimere alcuna capacità di indirizzo politico“, e questa legislatura che si sta per concludere è la dimostrazione di mancanza di “carattere politico“. Parola di Paolo Raffone, fondatore della Fondazione CIPI (Centro Italiano Prospettive Internazionali), direttore di Strat-EU, politologo e analista strategico, una voce critica sul funzionamento delle istituzioni europee. Criticabile anche la Commissione, secondo Raffone: “Dalla seconda metà degli anni ’90 abbiamo assistito ad un progressivo svuotamento delle capacità istituzionali della Commissione“. Una Commissione definita “in affanno evidente rispetto ai compiti che è chiamata a svolgere e per i quali ha sempre meno competenze qualitative interne“.
Il Parlamento europeo siederà per l’ultima volta nella sessione della settimana prossima a Strasburgo. Quali sono gli argomenti forti che restano ancora da affrontare e concludere e che il Parlamento lascia in eredità alla prossima compagine che si insedierà a partire dalla prossima estate?
Questo Parlamento europeo ha mancato di carattere politico in quasi tutti i dossier trattati. Certo le sue competenze in codecisione -con Consiglio dei Ministri e Commissione europea- sono limitate, ma anche in queste i suoi membri non hanno brillato né per iniziativa né per sostanza delle valutazioni politiche. Ad esempio le tardive schermaglie in materie economiche, fiscali e monetarie non hanno cambiato nella sostanza le decisioni prese dai governi e dalla Commissione. Sul TTIP -il Trattato Ue-Usa di libero scambio e degli investimenti- il Parlamento europeo è per ora silenzioso e supino, mentre la Commissione ha già negoziato in segreto tutti gli articoli. Da ultimo, il Parlamento ha approvato la proposta della Commissione di abolire il roaming della telefonia mobile a partire dal 2015. Decisione presa quando il mercato ha già fatto morire i profitti della telefonia mobile transfrontaliera grazie all’uso di Internet (VoIP) e varie funzionalità che consentono di baipassare gli operatori telecom usando la banda larga. Insomma, il Parlamento europeo è una costosa istituzione, che orrendamente conserva le sue tre costose sedi (Belgio, Francia, Lussemburgo), che non riesce ad esprimere alcuna capacità di indirizzo politico. Le sue funzioni si risolvono in un mero potere di ratifica delle decisioni dei governi che, nella realtà, hanno un buon controllo dei propri parlamentari europei. Infatti, sulla politica estera dell’Unione europea, dove ha poche o nulle competenze, il Parlamento non è stato neppure capace di adottare delle risoluzioni o dichiarazioni politiche, che sebbene non vincolanti, su casi come Egitto, Siria e Ucraina avrebbero almeno dato un segnale che l’Europa politica esiste. In eredità, questo Parlamento europeo lascia tutto quello che non ha fatto, non ha voluto o non ha potuto fare, lascia l’incompiuto di un’Europa politica e democratica.
Anche la Commissione europea si accinge a concludere il suo iter il prossimo autunno. Ci sono alcuni capitoli che la Commissione avrebbe voluto/dovuto affrontare e che invece sono rimasti sulla carta?
Lontani sono i tempi della Commissione europea che nel rispetto dei Trattati costruiva un percorso di sviluppo europeista. Dalla seconda metà degli anni ’90 abbiamo assistito ad un progressivo svuotamento delle capacità istituzionali della Commissione che oggi si ritrova ad assumere incarichi esecutivi che le sono delegati dalle decisioni governative sia adottate dal Consiglio europeo sia da strutture intergovernative esogene al sistema europeo. Complice anche l’affrettato allargamento dell’Unione europea, questa Commissione ha fatto poco e male. L’ultimo quinquennio è stato occupato in gran parte da attività delegate in materia economica, fiscale e monetaria. Poco o nulla è invece stato fatto in materie fondamentali quali la definizione di obiettivi sostenibili e credibili a breve, medio e lungo termine. Sulle materie essenziali come la tutela dell’ambiente, la tutela dei consumatori, l’energia, la ricerca europea, il mercato interno, si può dire che quasi tutto resta da fare. La Commissione sembra in affanno evidente rispetto ai compiti che è chiamata a svolgere e per i quali ha sempre meno competenze qualitative interne. Come il Parlamento, anche la Commissione ha perso terreno rispetto alla forza dei governi sia riuniti nel Consiglio europeo sia strutturati a livello intergovernativo.
Nell’arco di vita di questo Parlamento è entrato per la prima volta il principio della partecipazione diretta dei cittadini al processo legislativo con l’entrata in vigore dell’Iniziativa Europea dei Cittadini. Pensa che il processo sia stato ben gestito dalla Commissione? O che si sia trattato di una specie di contentino per rendere più democratico il sistema europeo?
L’Iniziativa Europea dei Cittadini è l’unica che risponde direttamente a quella voglia di Europa che ha caratterizzato il continente negli ultimi decenni. Purtroppo nel contesto mondiale attuale assistiamo ad una riduzione degli spazi di partecipazione e di libertà, ed anche nell’Unione europea si registra che i cittadini hanno pochissima influenza sul sistema decisionale. Ciò è vero almeno nella sua forma di partecipazione democratica diretta. Invece, si sta consolidando da un lato il principio della separazione del livello decisionale propriamente governativo da quello più socialmente partecipato attraverso strumenti democratici di indirizzo e controllo, sia quello della delega della sovranità popolare attraverso meccanismi elettorali di secondo e terzo livello. Insomma, dispiace constatare che l’iniziativa è arrivata tardi ed è stata gestita in modo assai debole.
Pensa che possa svilupparsi per creare una vera base di partecipazione dei cittadini ? E che questo possa indurli a sentirsi maggiormente coinvolti nelle questioni europee?
Non credo che ci sarà spazio in questo modello di Unione europea per una maggiore partecipazione diretta dei cittadini che invece dovranno contentarsi di agire tramite le singole istituzioni nazionali. Insomma, proprio l’inverso di quello che era l’idea degli Stati Uniti d’Europa che dai tempi di Ventotene è rimasto solo un sogno. La dominazione della mondializzazione finanziaria ha umiliato e disperso il capitale di partecipazione democratica a livello nazionale e ancor più a livello europeo. Non credo che nell’immediato si possa ipotizzare un’inversione di questa tendenza. Tuttavia sarebbe utile pensare ad un progetto europeo nuovo, che tenga conto del mutato contesto sociale europeo e politico-economico mondiale. Duole ammettere che finora il progetto europeo è stato sempre calato dall’alto e la partecipazione dei cittadini si è risolta in bolle di sapone.
Esiste il rischio di un forte astensionismo alle elezioni europee o di un voto di protesta. Ritiene che questo sia un rischio effettivo o che comunque il sistema riuscirà a gestire anche le impennate delle ali estreme dei partiti che protestano?
Il voto di protesta contro questa Europa che non piace alla gente e che lascia perplessi i nostri partner internazionali si sta consolidando in un massiccio astensionismo. I sondaggi 2014 indicano che oltre il 50%, cioè più di un elettore su due, non voterà. Questo è il vero voto che boccia senza appello, da varie tornate elettorali, questa Europa nata dopo il Trattato di Maastricht del 1992. Dei voti espressi, nel 2014 si ipotizza che almeno il 30% esprimerà un forte malcontento. Tuttavia, si tratta di malcontento artatamente rivolto all’Europa ma più sinceramente rivolto alle elites dei governi nazionali. La restante minoranza di elettori (circa il 20% degli aventi diritto) si dividerà tra i vari gruppi ‘europeisti’, cioè quelli dello status quo. Il risultato sarà che l’impopolarità dell’Unione europea sarà strutturale e non più dialettica o ideale. Senza una nuova idea di Europa quest’equazione sociale ed elettorale non cambierà affatto, anzi rischia di portare a scelte sempre più intergovernative e sempre meno democratiche.
Non è un caso che anche un europeista convinto come è Romano Prodi, già Presidente del Consiglio italiano e Presidente della Commissione europea, in una sua intervista del 3 aprile paventi l’irrilevanza della UE a breve.
Romano Prodi affarma che «con la crisi finanziaria, e soprattutto in conseguenza delle divisioni della politica europea, la magica forza attrattiva dell’Euro si è attenuata fino a scomparire. La Cina ha di conseguenza accelerato l’inizio della lunga marcia per fare dello yuan la valuta internazionale da affiancare al dollaro». Mentre l’Unione europea resta prigioniera della sua cattiva gestione monetaria e dell’assenza di una politica economica comune, «il Ministro delle finanze britannico ha spiegato che la strategia del Regno Unito», che non condivide l’Euro, «è semplicemente quella di fare di Londra il centro per trattare lo yuan al di fuori della Cina, prima che questo progetto venga messo in atto da altri Paesi. A sua volta il Governo cinese ha dato subito inizio al lungo cammino della convertibilità della propria moneta, allargando la banda di oscillazione del cambio nei confronti del dollaro e procedendo ad una controllata svalutazione dello yuan dopo tanti anni in cui tale moneta aveva in modo costante aumentato il proprio valore nei confronti della valuta americana. La lunga marcia dello yuan per avere un ruolo crescente nel sistema monetario internazionale fino a sostituirsi all’Euro, è quindi cominciata». Con questa Europa divisa e litigiosa, incapace di esprimere una politica estera indipendente dagli Usa e dalla Russia, come ha dimostrato il tragico errore sull’Ucraina, ma anche quelli nelle ‘primavere arabe’, secondo Prodi, «non è quindi difficile prevedere un ulteriore indebolimento della nostra posizione nel mondo, fino ad arrivare all’irrilevanza». Prodi conclude che «se vogliamo garantirci un futuro abbiamo quindi bisogno di un’ Europa più forte e più unita».
Raffone, lei, dunque, condivide le considerazioni di Prodi?
Tutto questo è certamente vero, ma non basta. Ci vuole un nuovo progetto politico, sociale ed economico europeo che tenga conto del mutato contesto mondiale e delle condizioni interne, demografiche e sociali, dell’Europa stessa. A questo proposito lancio qualche pista di riflessione che spero rilanci nei giovani la voglia di impegnarsi alla (ri)costruzione della nostra Europa, sia a livello dell’Unione europea sia a quello degli stati nazionali:
a) Abbandonare ogni idea geocentrica (dal Made-in alla moneta) e ripensare il modello economico nel quadro dell’irreversibile catena lunga della mondializzazione che per gli europei si traduce in tre imperativi di competitività: più conoscenza; più innovazione; più creatività;
b) Abbandonare ogni idea proto- e post-nazionale (dagli stati-nazione al super-stato europeo) e concentrare tutti gli sforzi sulla costruzione di un nuovo modello di potenza del XXI secolo che ha tre caratteristiche primarie: equità sociale; sostenibilità ambientale; valorizzazione qualitativa;
c) Abbandonare ogni idea militare (dagli Eserciti nazionali alle alleanze stile Nato) e concentrare tutti gli sforzi sulla costruzione di capacità strategiche del XXI secolo che per gli europei si traduce in tre obiettivi primari: intelligence costruita attorno ai concetti reticolari, dei flussi e della dimensione cyber; un ampio contingente di forze civili per la prevenzione e la cooperazione; un vasto programma di educazione e di scambio educativo interno ed esterno all’Europa.
per gentile concessione di Paolo Raffone